A partire da venerdì, gli Stati Uniti applicheranno un pesante dazio del 50% su molte esportazioni brasiliane, innescando una crisi diplomatica senza precedenti tra Washington e Brasilia. A firmare l’ordine esecutivo è stato il presidente Donald Trump, che ha giustificato la misura come risposta a una “minaccia straordinaria” alla sicurezza nazionale statunitense.
Il riferimento è alle recenti decisioni della giustizia brasiliana contro Jair Bolsonaro e alcuni suoi alleati, che Trump bolla come “persecuzioni politiche”. Non tutti i prodotti saranno colpiti. Restano esenti, ad esempio, il succo d’arancia, il petrolio, le parti per aerei commerciali e strumenti medici. Ma restano nel mirino esportazioni chiave come carne, caffè, soia e açaí — settori vitali per l’economia brasiliana.
La mossa di Trump è accompagnata da un attacco diretto al giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes, accusato di censura e repressione politica. A lui, ai suoi familiari e a suoi presunti “alleati”, è stato revocato il visto d’ingresso negli Stati Uniti. Dal Brasile, il presidente Lula risponde senza ambiguità: “Non negozieremo come un Paese piccolo. Difenderemo la nostra democrazia e la nostra sovranità”.
In queste ore, il governo brasiliano intensifica i contatti diplomatici per scongiurare un’escalation. Ma il danno politico è già fatto: alcuni parlamentari vicini a Bolsonaro sarebbero dietro le pressioni su Washington per colpire il proprio Paese. Il dazio si presenta così come una misura altamente politicizzata, che unisce questioni economiche, ideologiche e giudiziarie in una miscela esplosiva.
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