di Valerij Korovin
Per valutare il ruolo della Russia nella situazione che si sta sviluppando attorno alla Striscia di Gaza, è necessario rivolgersi a quelle scuole di Teoria delle Relazioni Internazionali (TMO - Teoriya mezhdunarodnykh Otnoshenij) che oggi prevalgono nel mondo.
Realismo e liberalismo
Per comprendere il meccanismo decisionale della parte russa, vale la pena staccarsi dall’idea che sia Vladimir Putin a determinare la strategia di politica estera della Russia e di conseguenza a costruire relazioni bilaterali con vari attori internazionali, Putin si appoggia alla scuola realista della TMO. In altre parole, per prevedere il comportamento della Russia rispetto a quanto sta accadendo in Medio Oriente, è necessario partire dal fatto che Vladimir Putin è un realista.
Va sottolineato che la seconda scuola che in questo contesto oggi domina il mondo è la scuola liberale. Queste due scuole, che oggi costituiscono le principali strategie nel campo delle relazioni internazionali, professano approcci completamente diversi e, per molti aspetti, opposti. Per la scuola liberale, ciò che appare fondamentale è con quale tipo di regime politico in un determinato paese i suoi seguaci abbiano a che fare, inoltre se questo regime politico sia democratico, ossia se soddisfi, o meno, gli standard della democrazia liberale americana, o occidentale. Pertanto, i liberali nelle relazioni internazionali considerano loro alleati solo quei regimi politici che soddisfino i criteri liberali basati sulla formula “le democrazie non si combattono tra loro”. Ma i liberali combattono contro le “non democrazie” anche in modo molto aggressivo.
Come esempio di politici che incarnano la scuola liberale, possiamo citare democratici americani, come Hillary Clinton, Barack Obama, o l’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Per loro è decisivo il fatto se lo Stato presenti, o meno, un regime liberale. Se il regime non è liberale, in generale, nemmeno è democratico, allora interferiscono attivamente negli affari di quello Stato per provocarvi una rivoluzione colorata, un colpo di stato, o addirittura una guerra civile. Tutto questo allo scopo d’instaurarvi un regime “democratico” al posto di quello che considerano un regime totalitario, o autoritario “non democratico”, persino se ciò dovesse andare a scapito degli interessi economici, o delle questioni di sicurezza degli Stati Uniti. Solo in seguito vi costruiranno relazioni bilaterali. Questo è l’approccio dei liberali.
A differenza dei liberali, i realisti, al contrario, non prestano attenzione al regime politico con cui hanno a che fare, l’ideologia di un particolare Stato non ha per loro un’importanza decisiva; ciò che conta sono gli interessi del proprio Stato. Vale a dire: un realista guarda prima di tutto se la cooperazione del suo paese con un altro paese soddisfi i problemi di sicurezza e se questa cooperazione sia vantaggiosa, o meno, da un punto di vista economico. Ad esempio, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, essendo realista, collaborò facilmente coi regimi dei regni arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar o gli Emirati Arabi Uniti, senza prestare attenzione al fatto che in questi stati non esista traccia di democrazia di tipo americano e che in modo scandaloso non siano rispettati i “diritti umani”. Tutto questo poiché la cooperazione con questi paesi portava benefici economici agli Stati Uniti d’America.
Dunque, il presidente russo Vladimir Putin appartiene alla categoria dei realisti. Cioè, esamina innanzitutto se la cooperazione della Russia con un determinato stato sia vantaggiosa dal punto di vista della sicurezza, e, in secondo luogo, se questa cooperazione sia economicamente vantaggiosa. Allo stesso tempo, a Putin, di regola, è indifferente con quale regime politico abbia a che fare da un punto di vista ideologico: regime liberale, non liberale, democratico, socialista o, forse, autoritario – questo, per Putin, è di second’ordine quando costruisce relazioni bilaterali. L’eccezione è stato il regime nazista di Zelenskij a Kiev. Ma anche qui il fattore determinante è stato piuttosto la questione della sicurezza, che ha svolto un ruolo decisivo all’inizio dell’Operazione Militare Speciale.
Pertanto, il fattore più importante a cui Putin fa riferimento quando prende decisioni nel campo della politica internazionale è se ciò sia vantaggioso, o meno, per la Russia. In questo senso, valutando la situazione in Medio Oriente, vale la pena notare che Vladimir Putin, essendo un realista, potrebbe benissimo costruire relazioni e stabilire una cooperazione con Israele, se ciò dovesse soddisfare i problemi di sicurezza della Russia, o fosse economicamente vantaggioso. Cioè, non ha pregiudizi in questo senso e abbiamo visto più di una volta nell’ultimo quarto di secolo come Putin abbia cercato d’interagire con Israele, offrendo relazioni amichevoli, fiduciose e reciprocamente vantaggiose.
Ma allo stesso modo, potrebbe anche non costruire relazioni con Israele, o le stesse potrebbero deteriorarsi qualora Israele intraprenda azioni che diventino pericolose, cioè compromettano la sicurezza statale della Russia, o producano, alla stessa, danni economici diretti o indiretti. Lo stesso vale per gli altri stati della regione, che si tratti della Turchia o dell’Iran, o di altri stati arabi, tra cui l’Autorità Palestinese o Gaza: se non mettono in discussione la sicurezza della Russia, Putin allora vi può collaborare; se agiscono in modo aggressivo nei confronti della Russia, come, ad esempio, quando la Turchia ha abbattuto un aereo russo sulla Siria, le relazioni si deteriorano e la cooperazione diminuisce.
Prospettiva ucraina
Consideriamo ora l’attuale conflitto arabo-israeliano dal punto di vista dell’approccio realistico provando a ricostruire analiticamente in che modo il presidente Vladimir Putin possa valutare gli eventi che si svolgono oggi nella striscia di Gaza e quali conseguenze ciò potrebbe comportare per la regione nel suo insieme. Tuttavia, dovremmo iniziare dal fatto che oggi per il governo russo la questione più importante è rappresentata dalla situazione nel sud della Grande Russia* e dalla guerra che l’Occidente ha iniziato contro la Russia nello spazio dell’Ucraina. Sulla base dello sviluppo degli eventi in questa regione e sulle prese di posizione di certi attori internazionali rispetto alla situazione ucraina, il presidente russo Vladimir Putin prende principalmente le sue decisioni nel determinare gli approcci anche nei confronti di tutte le altre aree, compreso il Medio Oriente.
Lo sponsor principale dell’Ucraina nazista, che oggi è lo strumento principale della guerra aperta dell’Occidente contro la Russia, sono gli Stati Uniti d’America. Nella situazione attuale, sono gli Stati Uniti e i loro alleati i principali e diretti oppositori geopolitici della Russia. Di conseguenza, i regimi politici che sostengono l’Ucraina su richiesta degli Stati Uniti diventano automaticamente ostili alla Russia. Prima dell’inizio dell’operazione nella Striscia di Gaza, Israele, nonostante l’attuale regime ucraino aderisca apertamente all’ideologia nazista, ha fornito armi e munizioni all’Ucraina per condurre la guerra contro le Forze Armate russe. Fughe di documenti dai servizi segreti americani indicano la presenza di forniture di armi letali da Israele all’Ucraina attraverso paesi terzi. Con la formale negazione esterna da parte della leadership ufficiale della disponibilità a fornire tali armi letali, Tel Aviv sta aiutando Kiev su una scala molto più ampia di quanto possa apparie dall’opinione pubblica.
Inoltre, specialisti israeliani sono stati avvistati nella zona dell’Operazione Militare Speciale, e la stessa Ucraina negli ultimi dieci anni ha messo in atto tattiche israeliane nei confronti dei russi, contro i quali per tutti questi anni - dal Maidan del 2014 -, conduce una guerra nel Donbass: non negoziare coi “terroristi” – ed è esattamente così che le autorità ucraine, seguendo i loro colleghi israeliani, chiamano le milizie del Donbass – come, allo stesso modo, annientano i leader dei “terroristi”, fatto che si osserva quasi ogni giorno quando vengono uccisi coloro che le autorità ucraine classificano come “nemici dell’Ucraina” – ossia tutti i russi che non hanno accettato di diventare “ucraini”. Tutto ciò, va sottolineato ancora una volta, è una tattica israeliana che lo Stato di Israele applica da molti decenni nei confronti dei palestinesi, dei rappresentanti di varie organizzazioni palestinesi e di altre organizzazioni islamiche.
Un altro fattore chiave è che l’attuale amministrazione americana, guidata da Joe Biden, allo stesso tempo sostiene attivamente sia il regime nazista ucraino, sia il regime politico a capo dello stato di Israele. Cioè, per Joe Biden e la sua amministrazione questi sono argomenti equipollenti, uguali, tanto che all’interno del Congresso americano sono continui i dibattiti su come distribuire l’aiuto americano su questi importanti orientamenti della loro politica estera: dividerlo equamente, o dare priorità a qualcuno - finanziare il regime nazista ucraino o quello israeliano.
Tale sostegno è abbastanza comprensibile se teniamo presente che l’attuale regime ucraino negli ultimi dieci anni ha sottoposto le aree popolate del Donbass a bombardamenti quotidiani, ha sterminato i civili che abitano su quel territorio, ne ha “disumanizzato” la popolazione, rifiutando di considerare come persone coloro che lì vi abitano. Allo stesso tempo, con arroganza hanno posto se stessi - i cosiddetti “ucraini” - al vertice di una certa gerarchia, all’ultimo posto della quale hanno collocato i russi. Tale approccio di tipo razzista, basato sulla costruzione di una gerarchia di popoli, è la base di un movimento ideologico europeo conosciuto come nazionalsocialismo. È proprio questo - costruire una gerarchia di popoli divisi in superiori e inferiori - che ci dà il diritto di chiamare nazista l’attuale regime ucraino.
Arroganza israeliana
Oggi osserviamo esattamente la stessa cosa nelle azioni dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. L’IDF (Israel Defense Forces) fisicamente sta spazzando via l’intera regione densamente popolata della Palestina, dove vivono centinaia di migliaia di civili. Israele sta effettivamente commettendo un genocidio contro gli abitanti della Striscia di Gaza, basandosi solo sul fatto che sono palestinesi, mentre gli ebrei sono “il popolo eletto di Dio”, come loro stessi si considerano. Sulla base di questa “scelta divina” si collocano al vertice di una gerarchia di popoli, distruggendo coloro che si oppongono alla loro volontà e alla loro idea di chi dovrebbe dominare la Palestina. In modo particolare è questa arroganza che sta alla base delle azioni dell’esercito israeliano, il quale con il pretesto di combattere i terroristi di Hamas distrugge indiscriminatamente quartieri pacifici, attuando però, di fatto, il barbaro genocidio degli arabi di Palestina. Allo stesso tempo, come nel Donbass, migliaia e migliaia di civili muoiono a causa di questi attacchi missilistici e dei bombardamenti indiscriminati.
È sempre sulla base di questa arroganza che abbiamo tutto il diritto morale di paragonare l’attuale regime politico di Israele con l’attuale regime nazista dell’Ucraina, così come con altri regimi nazisti che in passato, partendo dalla teoria razziale, si sono posti al vertice della gerarchia umana, collocando in basso altri popoli a loro non graditi. Questo è il razzismo che si trova al centro del nazismo. Oggi Israele, che lo voglia o no, ha raccolto questo testimone perdendo da un giorno all’altro l’immagine di vittima costruita nel corso di decenni. Ora è puro aggressore.
Perdita della superiorità morale
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ideologi ebrei per diversi decenni hanno creato attorno agli ebrei un’aura di vittimismo, rendendo così il popolo ebraico intoccabile. Questo aspetto di vittima ha dato agli ebrei enormi vantaggi, permettendo loro non solo di proclamare il loro Stato in Palestina, ma anche, senza alcuna obiezione da parte del resto dell’umanità, di decidere la sorte di coloro che sul posto iniziarono a limitare a favore del loro progetto messianico. Con lo status di vittime, acquisendo su questa base un vantaggio morale, gli ebrei hanno perseguito chiunque che in qualsiasi modo osasse criticarli, si opponesse alle loro iniziative, comprese quelle politiche, o mettesse in dubbio la legittimità della nascita e delle ulteriori azioni dello Stato di Israele, in sostanza chi criticava quest’ultimo, o in generale chi criticava tutto ciò che riguardasse gli ebrei o Israele. Proprio sulla base del fatto che gli ebrei sono diventati vittime agli occhi, prima di tutto, dell’umanità occidentale, grazie agli sforzi di propagandisti israeliani, hanno ricevuto carta bianca totale per il possesso della Palestina, indipendentemente dal fatto che lì vi vivono altri popoli con la loro identità, cultura, tradizioni e fede. Tuttavia, ci sono anche altri stati con i propri interessi attorno a ciò che si sta costruendo sulle ossa delle vittime della perfidia messianica.
Ma oggi, dopo i crimini contro l’umanità che l’esercito israeliano ha commesso nella Striscia di Gaza, distruggendo quartieri residenziali con civili, ospedali con bambini, anziani e donne indifesi, cancellando l’intera regione della Palestina dalla faccia della terra, Israele come Stato e gli ebrei come popolo hanno perso questa immagine di vittima. L’Israele di oggi è uno degli aggressori più insidiosi e pericolosi della storia dell’umanità, proprio come quegli ebrei che schierandosi dalla parte dell’attuale regime politico israeliano, si trasformano esattamente da vittima in puro aggressore, andando così a realizzare il principio della “responsabilità collettiva”. Secondo questo principio dell’Antico Testamento, tutti i residenti della Palestina, giovani e anziani, sarebbero responsabili delle azioni di Hamas, senza alcuna selezione o proporzionalità.
Da un’altra parte, però, vediamo che a sostegno dei palestinesi si schierano stati amici della Russia, come ad esempio l’Iran, che oggi fornisce all’esercito russo droni molto importanti e necessari per le operazioni di combattimento in Ucraina; come la Siria, che è un alleato diretto della Russia in Medio Oriente; come il Libano, che tradizionalmente ha sempre avuto per molti decenni buoni legami con lo Stato russo, così come altri paesi arabi e islamici. Tra questi c’è la Turchia, che si oppone fermamente all’aggressione israeliana in Palestina e quindi, sulla base di un approccio realista, si sposta nell’area delle relazioni alleate e più amichevoli con la Russia. La leadership turca deve solo riconsiderare correttamente ciò che sta accadendo nel Donbass, mettendo a confronto le azioni dei militari israeliani e dei nazisti ucraini, l’IDF e le Forze Armate Ucraine.
In altre parole, dalla parte dei palestinesi oggi ci sono quegli stati che, a vari livelli, possono essere definiti alleati della Russia e oppositori degli Stati Uniti e di Israele; gli alleati assistono la Russia nei suoi sforzi per combattere l’Occidente in Ucraina. È importante sottolineare che non dovremmo e non possiamo incolpare tutti gli ebrei – gli ebrei come popolo – per i crimini che l’attuale regime israeliano sta commettendo, poiché non tutti gli ebrei sono solidali con questo tipo di azioni aggressive dell’attuale governo israeliano e dell’esercito israeliano. Tra gli ebrei ci sono, ad esempio, i tradizionalisti, coloro che aderiscono al giudaismo ortodosso piuttosto che ai principi laici dello stato nazionale israeliano (stato-nazione). Questi giudei tradizionalisti, persone devote che dedicano la propria vita al servizio di Dio, certamente non possono sostenere azioni così disumane. Ecco perché dovremmo separare quegli ebrei che sono tradizionalisti e credenti giudei da quelli che oggi sono complici dell’attuale regime politico israeliano, che si comporta in modo sproporzionatamente aggressivo, disumano ed estremamente crudele, oltre i limiti di ogni umanità.
L’attuale regime politico israeliano, nel contempo, mette in pericolo tutti gli ebrei, compresi coloro che non sono ad esso solidali. Questa non è un’esagerazione. Attuando il principio della responsabilità collettiva nei confronti dei palestinesi e dei residenti della Striscia di Gaza, l’attuale regime israeliano porta nel mirino gli ebrei di tutto il mondo, poiché se tutti i residenti della Striscia di Gaza, indipendentemente dal fatto che siano, o meno, legati a Hamas, sono responsabili dei crimini attribuiti agli attivisti di Hamas, allora lo stesso principio di responsabilità collettiva potrebbe ricadere sugli stessi ebrei. Appare, quindi, la minaccia che tutti gli ebrei nel mondo possano essere perseguitati, indipendentemente dal fatto che abbiano, o meno, qualcosa a che fare con i crimini dell’attuale regime israeliano. In altre parole, il principio di responsabilità collettiva, che il governo israeliano attua nei confronti di tutti i palestinesi, e con loro di tutti i musulmani, può essere rivolto, a sua volta, contro tutti gli ebrei. In tal caso, il governo israeliano sarà responsabile della sofferenza di tutti gli ebrei, compresi quelli che non sostengono questo governo nei suoi metodi disumani.
L’intera argomentazione israeliana secondo cui la distruzione della Striscia di Gaza sarebbe una risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, non regge alle critiche, né da un punto di vista legale, né morale. Se non altro per il motivo che il conflitto, culminato nella cancellazione della Striscia di Gaza dalla faccia della terra, non è iniziato il 7 ottobre 2023, così come non è stato avviato dai palestinesi. Questo conflitto va avanti da molti, molti decenni ed è iniziato nel momento in cui gli ebrei non solo hanno iniziato a trasferirsi in Palestina e a crearvi i propri insediamenti, ma hanno iniziato a comportarsi in modo piuttosto aggressivo, usando direttamente la forza militare per raggiungere i propri interessi.
Non dimentichiamo che Israele, emerso dal nulla in mezzo ad una maggioranza araba islamica, già nel 1967, usò la forza militare per impadronirsi delle Alture del Golan, che fanno parte della Siria, territorio che non ha ancora restituito. Le Alture del Golan, che possiedono un importante significato strategico e di bonifica, rimangono giuridicamente territorio siriano, questo è riconosciuto da tutti tranne che da Israele. Ma nessuno, però, esorta Israele a una risposta, così come nessuno osa costringerlo a restituire i legittimi territori alla Siria. Ebbene, con una tale “vittima” questo è davvero possibile..
Allo stesso tempo Israele - uno degli stati più aggressivi del pianeta - approfittando dello status di “vittima”, con l’aiuto della forza militare bruta si è impadronito di molti altri territori della Palestina come regione, indipendentemente dalle vittime tra la popolazione civile e, generalmente, non prestando attenzione agli arabi come se lì non esistessero, o facessero parte della natura vivente. Come nelle migliori tradizioni dei colonialisti occidentali, dove la popolazione civile deve immancabilmente essere ridotta in schiavitù, questo accade da molti decenni, proprio con l’aiuto della forza militare e proprio in modo brutale e arrogante, mettendo tra parentesi gli abitanti di tutta questa regione e non prestando attenzione ai loro interessi. In altre parole, ciò che i palestinesi hanno realizzato il 7 ottobre è solo un briciolo, perlomeno una sorta di risposta, lungi dall’essere commisurata alle azioni militari aggressive che l’esercito israeliano ha portato avanti dalla proclamazione di Israele, nel mezzo del 20esimo secolo, tra i palestinesi.
Rispetto alle azioni di Israele, le proteste palestinesi sono solo un gesto simbolico di risposta, compiuto per richiamare l’attenzione sull’illegalità che va avanti da decenni, alla quale per qualche motivo nessuno nel mondo occidentale presta attenzione.
Il realismo di Putin: la possibile reazione della Russia
Riassumiamo ora la valutazione di ciò che sta accadendo in Palestina dal punto di vista dell’approccio realista, al quale, come abbiamo già detto, aderisce il presidente russo Vladimir Putin.
Da un lato abbiamo i palestinesi, con i quali il nostro Paese da molti decenni, fin dai tempi dell’URSS, instaura legami, così come coi loro alleati Iran, Siria, Libano e altri stati arabi amici della Russia. La Russia oggi, in modo sempre più attivo, accresce le relazioni bilaterali con tutti questi stati, allo stesso tempo la maggior parte di essi sostiene la Russia nel suo attuale conflitto con gli Stati Uniti e l’Occidente.
D’altro lato, vediamo lo Stato di Israele che già prima dell’inizio dell’aggressione contro la Striscia di Gaza forniva armi alla parte ucraina, i cui specialisti sono presenti nella zona dell’Operazione Militare Speciale guidata dalla Russia, e le cui tattiche nei confronti del Donbass e dei leader delle milizie del Donbass in tutti questi anni sono state adottate dal regime nazista di Kiev. In aggiunta a ciò, l’attuale governo israeliano giura fedeltà agli Stati Uniti d’America - al fine di ricevere sostegno finanziario, compreso il sostegno sotto forma di armi, che alla fine viene assegnato - questo sottolinea ulteriormente la relazione di alleanza tra l’attuale Israele e gli Stati Uniti. Due Paesi che, a loro volta, rappresentano oggi il principale nemico della Russia e, come noto, il suo principale avversario geopolitico, poiché causano alla Russia enormi problemi sia in termini di sicurezza, sia economici, con l’applicazione d’innumerevoli sanzioni economiche e con la fornitura di armi al regime ucraino.
Non serve essere un analista politico per confrontarli l’uno con l’altro utilizzando la formula “l’amico del mio nemico è il mio nemico”. Naturalmente, gli eventi iniziati il ??7 ottobre 2023 sono stati una sorpresa per le autorità russe. Allo stesso tempo, nel mondo attuale, si assiste a una situazione di totale violazione del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti d’America, diritto che hanno calpestato più volte negli ultimi tre decenni, sostanzialmente mettendo in circolazione il principio: “la forza è diritto”. O meglio, sono stati gli americani a distruggere il sistema di sicurezza internazionale esistente per molti decenni dal tempo dell’Unione Sovietica, il quale garantiva il rispetto del diritto internazionale. Ma l’URSS non c’è più, il mondo bipolare è distrutto, il diritto internazionale non è più rispettato e chi detiene il potere lo usa a propria discrezione, in primis gli Stati Uniti e i suoi alleati. Nessuno può chiamarli in causa. In sostanza, gli Stati Uniti hanno creato un’atmosfera d’illegalità. Tutto questo è ben compreso sia dal Ministero degli Esteri russo, sia dall’amministrazione del Presidente della Federazione Russa, sia dal Cremlino.
A questo proposito, più di una volta i politici russi si sono espressi criticando il sistema di “regole americane” imposto al mondo, stabilito unilateralmente al posto del diritto internazionale, che gli Stati Uniti modificano a propria discrezione, colpendo a loro piacimento. Ad esempio, gli aerei britannici e americani stanno colpendo lo Yemen.
Comprensibilmente la leadership politica russa è troppo immersa nella situazione ucraina per monitorare da vicino ciò che sta accadendo nello Yemen. A giudicare dalle rare dichiarazioni e dalle reazioni un po’ sparse, non è ancora riuscita a formulare una posizione univoca, chiara e coerente su questo tema. Tuttavia, è già chiaro, ora, che lo Yemen, e gli Houthi in particolare, stanno disincantando il potere degli Stati Uniti, di fronte al quale la maggior parte dei paesi del mondo è rimasta finora intorpidita.
Sulla fede nel potere americano è stata edificata la globalizzazione unipolare, di cui la Russia, la Cina e altri paesi hanno sofferto molto. Sulla stessa fede nel potere americano, così come sulla fede nella superiorità della loro macchina da guerra, si fonda anche l’economia centrata sull’America, basata sul dollaro come valuta di riserva mondiale, che rimarrà tale finché tutti crederanno nell’inviolabilità del primato degli Stati Uniti. Oggi questa fede è stata scossa. Tutti pensavano che l’America fosse intangibile, nessuno osava nemmeno immaginare che potesse essere in qualche modo sfidata. Ed eccoci qui: un certo Yemen, che in Occidente è sempre stato classificato come un paese del terzo mondo, un paese né significativo, né potente, come se nulla fosse, senza alcuna esitazione bombarda navi, installazioni militari e basi americane sul territorio degli alleati degli americani. Ne deriva che Washington subisce enormi perdite di reputazione e la fiducia nel potere americano si trasforma in scetticismo nei confronti di quest’ultimo. Tutti vedono che gli americani possono e persino devono essere battuti, che non sono la “nazione eccezionale”, ma persone comuni con le loro debolezze, paure e vizi.
In realtà, la maggior parte delle campagne militari alle quali gli americani hanno preso parte direttamente, le hanno perse, mentre le vittorie militari, di regola, da loro sono state vinte con l’aiuto di viltà e di attacchi missilistici da una distanza irraggiungibile, fiduciosi nella completa impunità. Non si sa mai! Gli Houthi avranno dei seguaci. Soprattutto se qualcuno li aiuterà.
In queste condizioni, dove la fede nel potere americano, e quindi nel loro primato, è appesa a un filo, è estremamente vantaggioso per la Russia sostenere gli Houthi, anche se vale la pena farlo indirettamente. Mentre il conflitto ucraino è in corso, la Russia dovrebbe evitare uno scontro diretto con gli Stati Uniti e la NATO. Ma questo non significa che non ci siano altri modi per colpire gli Stati Uniti. Nulla impedisce alla parte russa, seguendo le “regole” degli stessi Stati Uniti, di fornire armi agli Houthi, attraverso paesi terzi, ad esempio attraverso l’Iran o altri stati intermediari.
Prima di tutto, i missili ipersonici - killer di portaerei -, che sarebbero una risposta assolutamente degna. Dopotutto, se gli Stati Uniti e i paesi europei forniscono tranquillamente armi all’Ucraina, perché la Russia non dovrebbe fornire vari sistemi d’arma a coloro che sfidano gli Stati Uniti e i loro alleati in Medio Oriente, comprese le milizie palestinesi che si oppongono al genocidio della popolazione civile da parte di Israele. Una risposta del tutto commisurata ai nemici della Russia che sponsorizzano l’Ucraina.
In altre parole, se gli Stati Uniti, i paesi europei e il loro principale alleato in Medio Oriente, Israele, forniscono armi all’Ucraina, allora la Russia potrebbe sostenere pienamente i loro avversari in Medio Oriente fornendo loro attrezzature militari e i sistemi d’arma necessari, sia ai palestinesi, sia agli altri stati arabi e islamici che hanno relazioni alleate con i palestinesi. Perché non sostenere, in questo caso, anche gli Houthi, che oggi, quasi da soli, stanno distruggendo la fede nell’indistruttibilità della macchina militare americana? Se si lanciano diversi missili ipersonici di tipo “BrahMos”, data la disinvoltura con cui gli Houthi martellano obiettivi militari americani, vedremo che non rimarrà traccia del dominio americano nell’Oceano Indiano, dove non ci sono più così tante portaerei.
Pertanto, sulla base della politica realistica di Putin e, in generale, della capacità della Russia di risolvere i problemi di sicurezza in qualsiasi parte del mondo, è possibile prevedere analiticamente il comportamento della parte russa riguardo alla situazione nella Striscia di Gaza.
Sviluppo delle relazioni con Israele e suo sostegno - o il sostegno della Russia sarà indirizzato ad aiutare Hamas? Nonostante l’immagine morale dei palestinesi sia oggi molto più alta del comportamento immorale e crudele di Israele e dei suoi alleati, questione questa che per Vladimir Putin è sempre stata molto importante, la risposta si profila con tutta la sua evidenza.
Oggi è inutile chiedere una tregua alla parte israeliana, perché il compito di Israele, sulla base della sua valutazione di ciò che sta accadendo, non è raggiungere la pace, ma di distruggere e spazzare via fisicamente la Striscia di Gaza insieme a tutti i suoi abitanti, o almeno provocare un’emigrazione di massa per stabilire il controllo completo sul territorio della Striscia di Gaza e la sua inclusione nello Stato di Israele. Oggi questo è l’obiettivo del governo israeliano, tenendo presente anche il suo scopo messianico e il fatto che si considera “il popolo eletto di Dio”. Dal loro punto di vista, tutti gli altri dovrebbero solo inchinarsi a loro. La superiorità razziale degli ebrei nella loro visione del mondo è evidente.
È improbabile che la Russia, nel suo stato attuale, possa in qualche modo influenzare questa posizione fanatica e ossessiva dell’attuale leadership israeliana. Ma se la Russia dovesse vincere in Ucraina, liberando quel territorio sia dal regime nazista, sia dalla presenza americana e della NATO, il suo peso nei processi internazionali diventerà molto più rilevante. La parola della parte russa avrà veramente maggior importanza.
Dopo la vittoria in Ucraina, la Russia potrebbe schierarsi con molta sicurezza e convinzione dalla parte dei palestinesi e iniziare un processo per minimizzare i costi della politica aggressiva di Israele in Medio Oriente, così come della “nazione eccezionale”, gli USA, avendo già sostenuto gli Houthi dello Yemen insieme all’Iran.
Allo stesso tempo, nelle condizioni di guerra tra Occidente e Russia, in Russia sia tra le élite e il popolo, sia all’interno delle élite, è stata restaurata una coesione che non si vedeva dai tempi della Grande Guerra Patriottica. Tutti gli organi governativi agiscono in modo sincrono sulla base della legge e dei principi generali formulati dal presidente, e chiunque si opponga a questa posizione generale dell’attuale governo russo da tempo ha lasciato il Paese, o sta scontando una pena. In queste condizioni di completo consenso della popolazione e delle autorità, vengono prese decisioni importanti, si determinano i vettori di sviluppo, si scelgono gli alleati, e si prepara una degna resistenza ai nemici.
* Con Grande Russia nella tradizione s’intende la Russia, distinta dalla Piccola Russia (Ucraina) e dalla Russia Bianca (Bielorussia).
Sociologo, politologo, autore di numerose pubblicazioni, è direttore del “Centro di analisi geopolitiche” di Mosca, e vice presidente del “Movimento Eurasiatico Internazionale”.
Fonte articolo: https://zavtra.ru/blogs/tceli_izrailya
Tradotto da Eliseo Bertolasi
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