Zelensky 2.0: il dopo batosta di Vilnius



di Alberto Fazolo


Il summit della NATO che si è da poco concluso a Vilnius in Lituania potrebbe rappresentare un punto di svolta nel conflitto tra Ucraina e Russia, ma più in generale in quello tra quest’ultima e la NATO.

Con la cooptazione di Svezia e Finlandia, la NATO ha praticamente trasformato il Mar Baltico in un suo dominio. La Russia è l’unico Paese a non far parte dell’Alleanza che vi si affaccia, lo fa con la Regione di Leningrado, dove sorge la città di San Pietroburgo (la seconda più popolosa della Russia) e con la piccola enclave di Kaliningrad, stretta tra la Polonia e la Lituania.

La NATO ha accusato la Bielorussia di avere atteggiamenti ostili verso i propri vicini. Si tratta di un grottesco caso di ribaltamento della realtà, in quanto la Bielorussia subisce costanti provocazioni e pressioni da Polonia, Repubbliche Baltiche e Ucraina. Queste avvengono su entrambi lati del confine, dove la NATO foraggia gruppi eversivi e terroristici bielorussi.

Nel Summit la NATO ha invocato il rispetto dell’integrità territoriale della Georgia e della Moldavia cercando quindi di infuocare le altre sponde del Mar Nero, lanciando minacce contro quei popoli della regione che da decenni si sono autodeterminati: Ossezia del Sud, Abcasia e Transinistria.

Tuttavia, la NATO al contempo ha fatto gesti di segno opposto verso la Serbia -uno dei più importanti partner russi- nel tentativo di non farle aprire una nuova stagione di tensione nei Balcani. L’ex-Jugoslavia si trova nelle retrovie di quelle che sono le prime linee NATO, in particolar modo si trova alle spalle della Romania, paese che oltre a confinare con l’Ucraina, è il più vicino -tra quelli dell’Alleanza- alla Transinistria. La NATO non vuole che si accendano tensioni in quel luogo in questo momento e per questo si è mostrata pronta a fare concessioni ai serbi.

Il vero protagonista del Summit è stato il Presidente turco Erdogan che in cambio della rinuncia al diritto di veto per l’ingresso della Svezia nella NATO ha ottenuto concessioni esorbitanti: la promessa dell’ingresso nella UE, accordi commerciali e la consegna dei rifugiati politici turchi e curdi nei paesi NATO.

Si noti, che pochi giorni prima Erdogan aveva stretto vantaggiosi accordi commerciali con l’Ucraina in tema di commercio agricolo e militare.

Chi esce davvero male dal Summit è l’Ucraina. Nei mesi precedenti la NATO le aveva fatto credere che la strada per l’adesione fosse spianata e che la cosa si potesse realizzare in un lasso di tempo molto breve, periodo in cui truppe di paesi dell’Alleanza (verosimilmente camuffate da agenzie di mercenari e prevalentemente provenienti da Polonia e Lituania) avrebbero rimpiazzato al fronte i soldati ucraini morti. Pochi giorni prima del Summit il Presidente Biden ha però gelato le aspettative ucraine dichiarando che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO solo dopo la guerra. Ciò automaticamente significa condannare l’Ucraina alla capitolazione.

Subito dopo il messaggio di Biden è arrivato a Zelensky un altro duro colpo, stavolta da parte di esponenti del Governo Polacco che gli hanno nuovamente intimato di chiedere scusa a nome di tutta l’Ucraina per il genocidio dei polacchi perpetrato dagli ucraini tra il 1943 e il 1945; per somma sfortuna di Zelensky le atrocità contro i polacchi videro il culmine il giorno 11 luglio 1943, il vertice si svolgeva proprio in quel tragico anniversario. La trappola polacca si è attivata solo dopo la presa di posizione di Biden, ma a Varsavia era pronta da tempo. Se Zelensky avesse chiesto scusa si sarebbe messo contro tutto il nazionalismo ucraino, aprendo un fronte interno ingestibile; se Zelensky non avesse chiesto scusa (come poi effettivamente è stato), la Polonia avrebbe avuto un ottimo pretesto per disattendere le promesse fatte.

L’Ucraina non entra nella NATO, ma poi forse la NATO entrerà in Ucraina per aiutarla a difendersi. La Polonia si è detta disponibile a schierarsi a difesa dei territori che un tempo erano sotto il suo controllo, gli stessi in cui c’è stata la pulizia etnica contro i polacchi (che in alcune aree all’epoca erano la maggioranza della popolazione). Questo può essere un modo per stabilire una sorta di “protettorato”, in quello che a tutti gli effetti è un processo di balcanizzazione. Dicendo di voler salvare almeno un pezzo di Ucraina, la Polonia proverà a prenderselo.

I partner NATO hanno palesato insofferenza verso i modi e le pretese di Zelensky, rinfacciandogli anche la mancata gratitudine per quanto da loro fatto in termini di sostegno all’Ucraina. Il momento più grottesco c’è stato quando il ministro della Difesa britannico Ben Wallace con il tipico humor inglese ha ricordato di non essere Amazon.

Tuttavia, si tratta di un ribaltamento della realtà, perché non sono stati i paesi NATO ad aiutare l’Ucraina, ma l’Ucraina ad aiutare la NATO in una guerra per procura. Zelensky ha messo il proprio paese a disposizione di Washington per logorare la Russia: gli ucraini hanno pagato il prezzo di qualcosa da cui era evidente che non avrebbero potuto ottenere nessun beneficio. Ciò Zelensky lo sapeva da principio, ora che ciò è evidente -la NATO “tira i remi in barca”- ha il problema di spiegarlo agli ucraini che di sicuro non la prenderanno bene.

La posizione scomoda di Zelensky si è palesata nella foto ricordo del vertice, dopo lo scatto tutti i presenti si sono riuniti in un momento conviviale e lui è stato lasciato solo con uno sguardo sconsolato. Quella immagine è la più significativa del Summit e forse di tutta la guerra: il momento in cui Zelensky ha capito che stava per diventare un capro espiatorio.

Il giorno dopo Zelensky si è “cosparso il capo di cenere” e ha inondato social network e media di messaggi di gratitudine verso i paesi che lo hanno sostenuto. La scena ha toccato l’apice di pateticità con un video messaggio lungo poco più di otto minuti e in cui ha detto la parola grazie ben 46 volte.

A Vilnius Zelensky ha capito che deve cambiare registro, che non può più permettersi un atteggiamento arrogante e sprezzante come quello tenuto dal Papa. A Vilnius si è sancito il suo declino, ma non ha modo di uscire dalla situazione in cui si è impelagato.

La musica è cambiata sul campo di battaglia e anche nella politica.

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