Cade un altro stupido tabù della propaganda unica liberale nell'Ue ma ne approfitta solo la Germania



di Gilberto Trombetta


La crisi, oltre alle economie di molti Paesi – soprattutto la nostra –, sta distruggendo uno dopo l’altro i dogmi di 30 anni propaganda unica liberale. Dall’indipendenza delle Banche Centrali al legame tra emissione di moneta e inflazione.

Anche la UE, nel suo piccolo, si è dovuta, almeno su alcuni dei suoi dogmi più pericolosi e risibili, ricredere.

Come sugli aiuti di Stato.

Perché senza Stato, muore anche il privato.

Via libera dunque a nazionalizzazioni e aiuti di Stato, fino a poco fa vietate nella UE o comunque soggette a regole estremamente stringenti. Regole, va da sé, che sono sempre state interpretate per gli amici (come Germania e Francia) e rigidamente applicate ai nemici (come l’Italia). Anche per colpa di una classe politica di camerieri.

Un’occasione, c’è chi lo dice da mesi, senza precedenti per fare quello che lo Stato italiano avrebbe dovuto fare già da tanti, troppi anni. E cioè nazionalizzare tutti i monopoli naturali e i settori strategici per iniziare a ricostruire un nuovo IRI. E aiutare le PMI, parte fondamentale del tessuto non solo economico, italiano.

E invece, per colpa delle peggior classe politica che l’Italia abbia mai visto (quella della cosiddetta Seconda Repubblica), ad approfittarne, ancora una volta, è la Germania. Dei 1.900 miliardi spesi per aiuti di Stato e Nazionalizzazioni, il 52% è della Germania. Sono circa 988 miliardi di euro.



L’Italia è ferma al 17%.

Non solo. Perché un conto è dare soldi a fondo perduto, un conto è garantire prestiti. Cioè obbligare le imprese – e non solo - a indebitarsi davanti alla più grande crisi del dopo guerra.

Inutile dire come il Governo italiano, anche in questo caso, abbia scelto la strada sbagliata. Eppure dei quasi 50 milioni di disoccupati previsti nell’Eurozona a seguito della crisi economica, circa 12 milioni riguardano l’Italia.

Ma non si sarebbe dovuto aspettare neanche lo scoppio dell’ennesima crisi. Che, va sempre ricordato, la pandemia ha solo accelerato. Poiché è il sistema in cui viviamo da più di 30 anni, quello liber[al]ista, che le crisi le produce e le accelera.

Dopo 30 anni di UE e di austerità, infatti, avevamo già 4 milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta e 9 in condizioni di povertà relativa. Avevamo 6 milioni tra disoccupati e inattivi e 4,3 milioni costretti a fare il doppio o il triplo lavoro per quanto poco venivano pagati (part time involontario secondo la neolingua). Avevamo già perso, tra il settembre 2009 e quello del 2019, 178.500 tra piccole aziende e botteghe artigiane (-12,1%), mentre i piccoli negozi erano scesi di quasi 29.500 unità (-3,8%). Erano già sparite insomma più di 200 mila attività di prossimità in 10 anni.

Perché, è doveroso ribadirlo, senza lo Stato anche il privato muore. Ma il Governo non ha trovato di meglio da fare che mettere, a oggi, nell’economia reale poco meno di 20 miliardi di euro. Altro che 750 miliardi.

Per il rifiuto di credere nel Paese e nei suoi abitanti. Nella sua capacità di reagire. Per non scalfire quello che per loro continua a essere il sogno europeista. Quello che ormai per milioni di italiani, da anni, è solo un incubo fatto di impoverimento e disperazione.

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