di Gilberto Trombetta
Banca d’Italia ha appena pubblicato 5 numeri della serie “Questioni di economia e finanza”. Uno di questi, l’845, si intitola "Il miglioramento dell'efficienza energetica delle abitazioni in Italia: lo stato dell'arte e alcune considerazioni per gli interventi pubblici"¹.
Nel testo, Bankitalia suggerisce, tra le altre cose, di "subordinare la locazione degli immobili al rispetto di standard minimi di efficientamento energetico". Che tradotto in linguaggio comune vuol dire limitare o impedire l’affitto degli immobili se non rispettano la tabella imposta dall’unione Europea sulle case green.
Ecco cosa vuol dire avere una Banca Centrale “indipendente”. Indipendente dagli interessi nazionali ma dipendente dagli interessi dei grandi capitali esteri. E da Bruxelles.
Ricordiamo brevemente che la direttiva dell'Unione Europea prevede che i Paesi membri riqualifichino almeno il 15% degli edifici residenziali con i maggiori consumi energetici (classe G) portandoli alla classe E entro il 2030 e alla D entro il 2033.
In Italia circa 8 persone su 10 possiedono la casa in cui vivono.
In Italia ci sono 12,5 milioni di edifici residenziali per un totale di oltre 35 milioni di unità immobiliari residenziali. 7,1 milioni di questi edifici sono stati costruiti prima del 1971, 11,2 hanno comunque più di 30 anni.
Dei 12,5 milioni di edifici residenziali, 4,4 milioni di edifici sono di classe G, 3,1 di classe F e 2,1 di classe E. Quasi l'80% del totale. Per un totale di oltre 9,7 milioni di edifici (27,5 milioni di abitazioni).
Vuol dire che la surreale direttiva europea riguarderebbe almeno 1,5 milioni di edifici, 4,1 milioni di abitazioni.
Secondo diverse stime il costo per rispettare la direttiva europea supera i 300 miliardi di euro, con un costo per famiglia che varia dai 40.000 agli 86.000. Si tratta di stime tutto sommato conservative rispetto ad altre che prevedono costi totali molto più alti.
In Italia il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media. Complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera².
1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%).
Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale).
Degli oltre 213.000 beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità.
I Beni Culturali a rischio alluvioni sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi².
Per quanto riguarda il rischio sismico³, la classificazione territoriale per grado di pericolo evidenzia come oltre 21,5 milioni di persone abitino in aree del paese esposte a rischio simico molto o abbastanza elevato (classificate, rispettivamente, 1 e 2), con una quota pari quasi a 3 milioni nella sola zona 1 di massima esposizione.
La quota di immobili da recuperare, sulla base delle condizioni del patrimonio abitativo raccolte dalle indagini censuarie, è pari a circa il 40% delle abitazioni del Paese.
Si tratta di circa 12 milioni di immobili che dovrebbero essere destinatari di opere di risanamento e messa in sicurezza statica. Con un coinvolgimento di una popolazione pari a circa 23 milioni di cittadini.
Circa 15 milioni di abitazioni (ossia più del 50% del totale) sono state costruite, infatti, prima del 1974, in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica. Inoltre circa 4 milioni di immobili sono stati edificati prima del 1920 e altri 2,7 milioni prima del 1945.
I costi stimati complessivi per mettere in sicurezza l’Italia dal rischio idrogeologico e sismico, secondo gli enti competenti in materia, sono di circa 127 miliardi di euro (93 miliardi per il rischio sismico e 34 miliardi per quello idrogeologico).
Meno di un terzo di quanto le stime più conservative prevedono costerà l’adeguamento alla direttiva europea sulle case green.
Però secondo l'Unione Europea la nostra priorità deve essere quella di fare il cappotto termico di polistirolo a milioni di abitazioni, non di mettere in sicurezza il Paese dal rischio sismico e idrogeologico.
Ecco perché dall’Unione Europea non basta uscire. Va distrutta per poi cospargere di sale le sue rovine di modo che non rinasca mai più.
¹ https://www.bancaditalia.it/media/notizia/pubblicazione-nuove-questioni-di-economia-e-finanza-19-aprile-2024/
² https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/dissesto-idrogeologico-in-italia-pericolosita-e-indicatori-di-rischio-edizione-2021
³ https://www.cni.it/media-ing/news/137-2016/750-nota-su-rischio-sismico-in-italia-stima-del-numero-di-abitazioni-interessate-e-popolazione-di-riferimento-e-costi-per-la-loro-messa-in-sicurezza
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