Il filo che tiene in vita UE sta per spezzarsi. Senza piano B, sarà catastrofe per l'Italia


di Paolo Desogus*

A margine del Consiglio europeo di oggi

Qualcosa il Consiglio europeo dovrà pur inventarselo. I capi di governo non possono tornare a casa a mani vuote. Significherebbe ammettere che è tutto finito. Nessuno però (a parte forse la Germania) può permettersi di riconoscere la conclusione di un progetto politico a cui i cittadini europei hanno affidato gran parte delle proprie speranze e aspettative. Soprattutto l’Italia per i sacrifici giganteschi fatti (trent’anni di avanzo primario) accettare la fine dell’UE è difficilissimo, anche perché le forze che hanno progettato la sua permanenza sono al potere e hanno messo i propri uomini nella burocrazia dello stato. La fine dell’Ue li condurrebbe immediatamente al loro capolinea politico.

Eppure bisognerebbe cominciare a prendere in considerazione l’impossibilità di andare avanti. L’attuale contesto dovrebbe spingere a superare la falsa opposizione tra europeisti e anti europeisti. Anche perché non è chiaro cosa propongano i primi. Nessuno dei partiti europeisti italiani ha portato a Bruxelles una sola proposta per una maggiore integrazione. Nessuno di loro - non il Pd, non i Radicali, non Italia Viva, né Azione - ha formulato uno straccio di proposta nella direzione degli Stati Uniti d’Europa, obiettivo oramai dai contorni mistici, atteso fatalisticamente come una ineluttabile conseguenza della vittoria del bene sul male, cioè su chiunque tenti di esprimere un pensiero diverso. Le ragioni sono fin troppo ovvie: qualsiasi proposta di ulteriore integrazione troverebbe il muro tedesco. È sufficiente leggere il discorso di insediamento di Angela Merkel al semestre europeo per verificarlo.

Il grande paradosso del dibattito Italiano è che le proposte costruttive sono arrivate solo dal lato degli altroeurpeisti, oramai dissoltisi, ma soprattutto degli euroscettici, i quali hanno chiesto un rafforzamento delle prerogative del parlamento Ue, la modifica dei trattati di Maastricht per rendere possibili le politiche keynesiane e una modifica dello statuto della Bce per eliminare il dogma ordoliberista della lotta all’inflazione. A queste richieste è stata opposta solo l’ipotesi di una maggiore disciplina di bilancio: cioè meno ossigeno ai paesi che affogano. Bella trovata, non c’è che dire.

Nessun avanzamento dell’Ue è all’orizzonte. E anzi, i fatti recenti hanno messo a nudo l’inconsistenza istituzionale della Commissione europea, soppiantata di fatto dal Consiglio europeo, cioè dai singoli stati. Il paradosso dei paradossi è dunque quello dei “più-europeisti” nostrani che non solo non formulano uno straccio di proposta, non solo bollano come “sovranista” qualsiasi critica, ma difendono di fatto un sistema che esalta il nazionalismo degli stati forti contro i più fragili, tra cui l’Italia, come sta accadendo in queste ore con le farneticazioni razziste olandesi sugli italiani.

Presto o tardi tutto questo finirà. Con la sentenza di Karlsruhe i tedeschi si sono dotati di un’arma legale da impiegare al momento opportuno per portare la Germania fuori dall’Ue (sempre che Weidmann non decida di staccare la spina già il mese prossimo adempiendo alle richieste della Corte costituzionale tedesca). Anche noi avremmo bisogno di un piano B da impiegare, se non subito, nel caso in cui lo scenario peggiori, come è del resto è facile da prevedere.

MES e Recovery Fund sono solo strumenti disciplinari che testimoniano l’incapacità di un vero progresso europeo nel segno della solidarietà e della grande cultura del continente. Pensare che possano essere in qualche modo risolutivi è sommamente sciocco. Anzi, con le loro umilianti condizionalità rischiano solo di accelerare la crisi.

Per una sorta di sonno collettivo in pochi in Italia si rendono veramente conto che la vita dell’Ue è appesa a un filo, ovvero al programma di acquisti della Bce, che come fanno notare alcuni non solo è in contrasto con la Costituzione tedesca, ma ha più in generale una copertura legale molto fragile. Smettiamo allora di raccontarci bugie o di prefigurare mondi che non esistono. Il filo che tiene in vita l’Ue potrebbe spezzarsi e a quel punto per noi, se colti impreparati, sarebbe una catastrofe.

*Professore alla Sorbona

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