Colleferro, lasciate stare le palestre e pensate alla violenza della nostra cultura mainstream


di Paolo Desogus*


Qualche considerazione sull'omicidio di Colleferro.

Al di là della giusta, anzi sacrosanta, indignazione per l'omicidio di Colleferro vorrei che non si perdesse di vista quanto di quei quattro delinquenti sia in realtà diretta espressione della nostra stessa cultura mainstream. Anche a costo di apparire moralistico mi pare infatti importante che la rabbia e l'orrore contro gli autori dell'omicidio di Willy Duarte non diventino occasione per una forma di oggettivazione del male che distanzia e assolve il contesto culturale in cui noi stessi siamo immersi e di cui spesso trascuriamo la violenza intrinseca.

A questo proposito mi ha fatto una certa impressione l'attacco mosso contro le palestre in cui si apprendono le arti marziali. Chi in realtà conosce anche solo un minimo le arti marziali sa benissimo che esse insegnano prima di tutto a dominare la forza, a disciplinarla, a dosarla. Le arti marziali, almeno quelle classiche (ammetto di non conoscere l'MMA), insegnano il senso del limite nell'uso della forza.

Nella violenza di quei quattro balordi non c'è affatto una cultura del limite. Le immagini e i comportamenti raccolti dai media ci dicono molto dei loro modelli culturali. I loro volti, i loro tatuaggi, le pose da duri, i muscoli in bell'evidenza, l'esibizione della mascolinità sono tratti stereotipici che possiamo vedere quotidianamente nei programmi spazzatura delle televisioni commerciali.

Quei quattro assassini potrebbero essere i partecipanti di un reality show o di un talent show in cui ci si auto esibisce, ci si auto narra, in cui ognuno è al tempo stesso soggetto e oggetto del programma televisivo: soggetto dotato di una presunta autonoma personalità e oggetto in quanto espressione omologata di un modello culturale. In queste trasmissioni i protagonisti esprimono tutti una personalità, un tratto originale, una singolarità. Chi non possiede un tratto differenziante (ma in realtà ultra omologante) è debole, inutile, superfluo. Va scartato. Va eliminato dal programma, va fatto fuori.

Se ci pensate bene ognuno di quei quattro ragazzi potrebbe essere il partecipante di un reality show o di un talent show in cui ci si esibisce, ci si auto narra e si è al tempo stesso soggetto e oggetto del programma televisivo: soggetti dotati di una presunta autonoma personalità in competizione con quella degli altri e oggetti in quanto espressione omologata di un modello culturale.

Questo comportamento belluino però non nasce dal nulla, ma appartiene al tipo di regressione di civiltà delle società neoliberali, ovvero le società deprivate di corpi intermedi, di protezioni sociali, di forme di integrazione dei singoli dentro aree culturali e sociali più o meno codificate e solidali. Nella mancanza di pietà dei quattro omicidi si intravede insomma la tipica violenza senza scrupoli e soverchiante della competizione turbocapitalistica: quella esercitata tutti i giorni dai soggetti del capitale, quella che porta ai licenziamenti con un sms, agli sfratti delle famiglia disagiate, allo sfruttamento selvaggio, all'esclusione di chi è più debole. L'individuo neoliberale non ha pietà, non prova compassione verso il prossimo. E soprattutto si esprime contro i deboli. Riconosce nella debolezza un ostacolo da estirpare. La sua è pura volontà di potenza da esprimere senza limiti, senza vincoli.

Indigniamoci ma non sorprendiamoci troppo della violenza di quattro energumeni contro un ragazzo esile e dal viso dolce come Willy. Questa violenza è molto più simile di quanto possiamo immaginare a quello che la cultura neoliberale esprime.


*Professore alla Sorbona di Parigi

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