Incontro Lamorgese-Avakov. Una paradossale guerra alla criminalità e al terrorismo


di Sara Reginella


Il 5 agosto, Luciana Lamorgese, Ministra degli Interni italiana, ha incontrato al Viminale Arsen Avakov, Ministro degli Interni ucraino. Le fonti governative italiane riferiscono di un incontro sul “contrasto alla criminalità transnazionale, al traffico illecito di armi, alla tratta di esseri umani, al terrorismo e al narcotraffico”.

Il Ministro ucraino è in carica dal 2014, dai mesi subito successivi il colpo di stato di Kiev.

L’incontro non rappresenterebbe un fatto allarmante, se non si tornasse indietro con la memoria ai giorni freddi del sanguinario golpe di Kiev, in cui si scontrarono i Berkut, polizia antisommossa ucraina, con il branco neonazista che, armato di spranghe e ruspe, provocò un violento cambio di Governo su istigazione di Stati Uniti e Unione Europea.

Arsen Avakov, l’uomo ricevuto dalla Ministra italiana, prima di essere eletto Ministro degli Interni fu alleato dell’ex Primo Ministro Yuliya Timoshenko che ricordiamo, tra l’altro, per la rivoluzione arancione, artatamente costruita a tavolino secondo il copione delle rivoluzioni colorate: un mix di tecniche mediatiche di propaganda, finanziamenti a gruppi di opposizione e ingerenze straniere volte a rovesciare i governi non in linea con i diktat dei poteri occidentali.

Nel 2012, ritroviamo il futuro Ministro Avakov nella Casa Circondariale di Frosinone, a seguito di un mandato internazionale emesso dalle autorità ucraine per abuso di ufficio e appropriazione indebita di terreni. Nello stesso anno, lo stesso rientrerà in Ucraina grazie all’immunità ottenuta attraverso l’elezione in Parlamento.

Con il golpe e la presidenza Turcinov, Avakov verrà nominato Ministro degli Interni: con questa carica, a ottobre 2014 autorizzerà, legittimandole, unità paramilitari come l’Azov ad affiancare l’esercito della Guardia Nazionale Ucraina sulla linea del fronte, durante gli scontri armati contro le milizie delle Repubbliche Popolari del Donbass.

Crea sgomento la foto in cui Avakov, Ministro di uno stato che aspira all’ingresso nell’Unione Europea, è ritratto al fianco di Andriy Biletsky, leader del Partito del Corpo Nazionale e Comandante dell’Azov.

Ricordo l’orrore di uomini e donne, personalmente incontrati in Donbass, nel ricordare la ferocia dei battaglioni punitivi di stampo nazista come l’Azov, il cui simbolo, val la pena esplicitare, è la runa Wolfsangel, emblema di alcune unità della divisione SS. Tale simbolo è lo stesso che costituiva il logo del Partito Nazional Sociale Ucraino di Andriy Parubiy, Presidente della Rada ucraina che, nel 2017, veniva anche ricevuto dall’allora Presidente della Camera Laura Boldrini. Tre dita stilizzate, a sostituzione della runa, andranno poi a costituire il logo del nuovo partito Svoboda, in ucraino “libertà”, trasformazione politically correct di quel Partito Nazionale Sociale direttamente ispirato al Partito Nazional Socialista di Hitler.

Dunque, una buona compagnia: da Arsen Avakov ad Andriy Parubiy, esponenti e sostenitori del neonazismo ucraino sono accolti in una logica di cooperazione tra stati, finalizzata ad una paradossale “guerra alla criminalità e al terrorismo”, condotta a braccetto con l’ultranazionalismo.

In quest’ottica assurda, lo stesso Avakov, circa un anno fa, definiva “eroe di guerra” il sergente ucraino Vitaly Markiv, condannato per l’omicidio del reporter italiano Andy Rocchelli, ucciso in Donbass il 24 maggio 2014.

A questo punto, è lecito domandarsi in che modo il Ministro degli Interni ucraino possa parlare di contrasto alla criminalità con la nostra Ministra, nel momento in cui egli stesso sostiene la legittimazione di battaglioni criminali come l’Azov. Probabilmente nello stesso modo paradossale in cui il Governo ucraino ha accusato di terrorismo, avviando anche un’operazione militare contro i territori del Donbass, coloro che si opponevano a un Governo asceso al potere con un golpe neonazista, lo stesso golpe grazie al quale Avakov è ora Ministro degli Interni e ricevuto in Italia.

Giova ricordare, a questo punto, che l’Italia è un paese in cui tutti i cittadini, secondo la Costituzione, dovrebbero avere pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizione personale e sociale. In tal senso, è inaccettabile che a cooperare con il Governo italiano nel contrasto alla criminalità e al terrorismo sia un personaggio che ha appoggiato e legittimato l’esistenza di battaglioni neonazisti i cui disvalori sono agli antipodi rispetto ai valori della nostra Costituzione.

Realtà come l’Azov sono tutt’ora attuali: gruppi ultranazionalisti circolano infatti indisturbati in Ucraina e, in rete con movimenti neonazisti europei, rischiano di contribuire, con un’attitudine antisociale e paranoica, a una rovinosa deriva autoritaria europea, non dissimile da quella che vide milioni di persone sottomettersi al nazismo, molti anni fa.

È spesso difficile mettere in discussione figure socialmente legittimate e autorevoli: ministri, politici, personaggi pubblici e dello spettacolo che, prestando il fianco a un rovesciamento della realtà, a partire da negazioni, occultamenti e mistificazioni, contribuiscono alla formazione di una realtà paradossale, cui ci si sottomette inconsapevolmente.

Ma a tale ribaltamento della realtà occorre reagire, sempre, non abbassando la guardia e rompendo i meccanismi di imposizione di una sola verità troppo spesso distorta e allucinatoria.

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