“Io sono il potere”. Antonio Funiciello e la Giostra degli insostituibili

di Anna Lombroso per il Simplicissimus*

«Non siamo insostituibili perché siamo i migliori. Al contrario, siamo i migliori in quanto insostituibili»

La frase viene attribuita a un anonimo “mandarino”, un capo di gabinetto che un anno fa ha affidato la sua lunga confessione a Giuseppe Salvaggiuolo che l’ha trasformata in un libro: “Io sono il potere”, che non è diventato un “caso” perché probabilmente era una troppo perfetta raffigurazione plastica di quello è stato definito il nucleo cesareo del potere. Quel nocciolo duro nel quale la burocrazia dei vertici si politicizza in qualità di potere sostitutivo per ovviare alle insufficienze e all’impreparazione della politica.

Possiamo star certi che lo staff del neo presidente del Consiglio si senta investito di quel “potere” imprescindibile per la missione di convertire in “fatti” le promesse e le minacce perfino di un esecutivo di “tecnici”, sulla cui perizia organizzativa e fattuale è lecito nutrire dubbi (ne ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2021/02/14/i-competenti-e-se-fossero-stupidi/). .

Si deve ritenere sia fiero della definzione di “boiardo” che deriva dallo slavo antico per indicare una casta nobiliare quella di latifondisti che via via acquisirono funzioni amministrative, il capo di gabinetto scelto da Draghi per affiancarlo e che si dice abbia sintetizzato la sua visione personale e di civil servant in un libro dal titolo eloquente “Il metodo Machiavelli. Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima”, attribuendosi la rara facoltà di potersi sporcare le mani con la prassi conservando integrità e coscienza pulita.

Magari lui ci riesce, mentre è lecito sollevare dubbi sull’efficienza di questa combinazione di controindicazioni in forma di burosauro: filosofo, come ormai si usa dire di tutti i laureati anche senza laude in quella disciplina, Buttiglione compreso, giornalista, e c’è da ricordare la famosa barzelletta del cronista che per non deludere mammà le diceva di fare il pianista in un casino, mi arrischio a dire che Antonio Funiciello sia un caso di successo della categoria dei lettori di risvolti di copertina, da Machiavelli ai Tre Moschettieri, sentendosi di volta in volta consigliere del Principe e Principe egli stesso, Richelieu o Mazzarino e al tempo stesso re di Francia.

E difatti se in una sua meno rinomata prodezza letteraria “Il politico come cinico. L’arte del governo tra menzogna e spudoratezza”, si è ispirato a tutti gli stereotipi di genere, da osservatore disincantato ispirato a Montesquieu più che a Bisignani, nella pratica di vita ha preferito ai vizi dell’impolitico le virtù dell’influente.

E infatti dopo essere stato di volta in volta “consulente” politico di Zanda, Veltroni, Morando, dopo che nel 2013 l’allora segretario del Pd Guglielmo Epifani gli aveva conferito la delega per la cultura e la comunicazione del partito, incarico sulla cui efficacia ci sarebbe da dubitare, non contento dell’esperienza di capo di gabinetto di Gentiloni, dopo essersi alternato in veste di opinionista al Foglio, a Liberal, al Riformista ma pure a Mondo Operaio, pur mantenendo con orgoglio l’etichetta di “migliorista” liberale, ecco che il poliedrico intellettuale napoletano, più affine a De Crescenzo che a Giordano Bruno approda da braccio destro di Luca Lotti all’attivismo empirico del Gigliomagico, mettendosi a capo di BastaunSì, guidando il drappello dei costituzionalisti per caso, defunto compresi grazie all’operosa intermediazione a tre gambe della Boschi, del referendum renziano.

Questo breve excursus che vi ho inflitto dimostra che nulla avviene per caso, che il parco neo presidente non ce la fa a celare dietro all’enigmatica sobrietà l’incontinenza bulimica di un Carlo V, che si nomina il suo Mercurino Arborio di Gattinara sia pure in veste di un più contemporaneo Wolf risolvo problemi, che guardandosi intorno Draghi non avrebbe resistito a fare qualche concessione alla cerchia dell’acceleratore più o meno consapevole certo teleguidato del suo alto incarico, che nutrendo una idiosincrasia nota per le democrazie del Mediterraneo preferisca il rafforzamento degli esecutivi, soprattutto quello a guida sua o dei suoi famigli E che, a vedere la compagine governativa, avrà pensato che la questione meridionale poteva limitarsi a un campano a Palazzo, momentaneamente sottratto al suo incarico di consigliere di amministrazione dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, ente in sofferenza dove ha registrato un altro dei suoi “successi”.

È che la professione di giornalista gli sta a cuore, ben più del conflitto di interessi, come dimostrò il suo impegno per la terzietà e la libertà dell’informazione quando, da assistente del Sottosegretario all’Editoria si fece promotore in pieno referendum di un esposto presentato all’Agcom contro La7 e in particolare contro Otto e mezzo, La Gabbia e PiazzaPulita), trasmissione colpevoli di aver dato spazio alle dichiarazioni di opinionisti avversi al Si. E come anche rivela il suo interesse per i media e gli strumenti alternativi alla stampa tradizionale, per la rete che usa con baldanza e spregiudicatezza: si deve a lui l’immediata pubblicazione su Twitter dell’omaggio di Biden al Presidente Draghi, ed era sua la meno felice battuta al tempo delle comunali a Torino: “Appendino è bocconiana, come Sara Tommasi“, cancellata troppo tardi per sfuggire all’occhiuta memoria di Google.

Certo, il curriculum sembra molto lontano dalla vocazione e dalla missione disegnata magistralmente nel libro “Io sono il potere”: Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccio…. Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa. Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto. So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio. Frequento la penombra. Della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa. Non esterno su Twitter, non pontifico sui giornali, non battibecco nei talk show. Compaio poche volte e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non mi conosce nessuno, a parte chi mi riconosce”.

Se voleva un servitore muto, Draghi doveva forse scegliere qualcuno che rispondesse a tutte e due le esigenze.

* Pubblichiamo su gentile concessione de il simplicissimus

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