Nell'articolo 1 del ddl si chiede espressamente di aggiungere al primo comma dell'articolo 85 della Costituzione che il presidente della Repubblica "non è rieleggibile".
Era rimasto fino a Napolitano come prassi costituzionale dato che, come ricordano i firmatari della legge, in sede di assemblea costituente si pose la questione della limitazione ad un mandato al centro di diverse sedute. "È infatti evidente - affermano i senatori dem - che, se l'eccezione divenisse regola e quella che è stata la regola cominciasse ad apparire come eccezione, l'equilibrio dei poteri delineato dalla Carta potrebbe risultarne alterato. Non è peraltro un caso se gli Stati Uniti, pur in un contesto di elezione sostanzialmente diretta del Presidente, hanno introdotto il divieto del terzo mandato quadriennale solo nel momento in cui l'eccezione avrebbe potuto divenire prassi".
Come sottolinea Repubblica, organo di stampa vicinissimo al Pd, "fu Antonio Segni il primo a segnalare, nel messaggio alle Camere del 16 settembre 1963, che il periodo di sette anni è "sufficiente a garantire una continuità nell'azione dello Stato", e quindi l'opportunità di introdurre "la non immediata rieleggibilità del Presidente", per "eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione". Il messaggio era controfirmato, come presidente del Consiglio, da Giovanni Leone, che poco dopo presentava alle Camere un disegno di legge costituzionale di modifica degli articoli 85 e 88 della Costituzione nel senso auspicato dal capo dello Stato. Analoga iniziativa era partita da un gruppo di deputati guidati dal liberale Aldo Bozzi già prima del messaggio presidenziale. Leone, diventato poi capo dello Stato, richiamò nuovamente l'opportunità di una riforma in tal senso nel proprio messaggio alle camere del 14 ottobre 1975.