Il paradosso del rafforzamento degli esecutivi nei Paesi a sovranità limitata

di Giuseppe Giannini

Tra i termini più utilizzati dai rappresentanti delle istituzioni politiche vi sono quelli di "sovranità" e "volontà popolare".

Un abuso che fa della demagogia un'arte. La Costituzione italiana afferma che "la sovranità appartiene al popolo", sia pure nella forma della delega, attraverso la quale cedendo ad altri il potere decisionale il corpo elettorale ne accetta le conseguenze. Un discorso plurisecolare che tira in ballo la separazione dei poteri, la volontà generale e il contratto sociale, ma anche la nascita dello Stato moderno e i diversi regimi di governo. Quello che qui ci interessa è contastare come nel corso degli ultimi decenni tali concetti siano diventati parvenze formali per rispondere al malcontento di popolazioni prive di prospettive.

Fermo restando, che all'interno dei singoli Stati non esiste un interesse generale, ma questo si particolarizza a seconda degli intenti dei governanti, e che appunto le società si dividono secondo la loro condizione economica in categorie, strati e classi, è certo, che al di là dei privilegi di appartenenza, l'unica forma di sovranità statale concerne l'uso della forza attraverso i suoi apparati (monopolio legittimo?)

Pertanto, quando la retorica della politica come professione, a seconda del governo di turno, afferma di voler decidere a casa propria in realtà lo scopo è solo quello di fare del proselitismo, cercando di recuperare credibilità verso la massa di sudditi-elettori.Nel caso di un presidente di uno Stato il richiamo al popolo ha il fine di tenere uniti i rappresentati, facendo finta di non vedere quanto le scelte politiche impattino sul destino dei sottoposti.Soprattutto lo scopo è quello di rimuovere le differenze sociali esistenti, appellandosi ad un superiore interesse legato all'appartenenza ad uno stesso territorio.

E se le carte costituzionali nascono al fine di predisporre un insieme di principi legati ai diritti – civili,economici, politici e sociali – inderogabili e valevoli nei confronti di tutti, ma influenzate dal clima in cui sono state eleborate, e in ogni caso frutto del compromesso fra le forze partitiche presenti nelle istituzioni (meno importanza si da a quelle fuori ma operanti nella società), invece le leggi che prendono forma nei parlamenti rappresentano un preciso orientamento politico.

Una volta la Destra e la Sinistra di distinguevano per gli interessi che cercavano di tutelare.

Da quando la divisione del mondo in blocchi è crollata e la globalizzazione economica ha messo il piede sull'acceleratore i partiti si distinguono solo per il posto occupato dai suoi membri negli scranni del potere.

La funzione dei governi è quella di limitarsi a ratificare scelte decise in altre sedi, che sono quelle sovranazionali ed extraterritoriali, corrispondenti alla supremazia del profitto economico ad ogni costo, sacrificando la pacifica convivenza fra i consociati.Avendo fatto proprio il pensiero unico neoliberista e accomunati dalla sottomissione ai diktat di organismi che non rispondono ai popoli – dalla Nato alla OMC, passato per l'FMI e la tecnocrazia dell'Europa austeritaria (Commissione europea e BCE) - figuriamoci gli interessi di classe, ecco che la presenza dei partiti, venendo meno tanto la diversità, quanto la spinta propulsiva, diventa qualcosa di anacronistico.La competizione elettorale quindi si riduce solo per stabilire chi deve gestire il potere, perchè quando si tratta di interessi superiori, non c'è governo che tenga.E' risaputo quanto l'imperialismo USA insieme al paradigma individualista disgregativo delle società, impostosi dagli anni '80 in poi, siano diventati una costante ovunque.

Oggi nel nuovo scenario globale la contesa riguarda da quale parte si vuole stare, in sintesi una competizione tra due modelli diversi di capitalismo: con più mercato (l'Occidente) o più Stato (la Cina).

Tutto questo discorso per evidenziare come in Italia certe dichiarazioni, che ciclicamente si ripresentano, quando parlano di riforme per rafforzare gli esecutivi sono da un certo punto di vista prive di fondamento.

Ci si nasconde dietro l'obiettivo di garantire la governabilità ma questa corrisponde sempre più alla governamentalità.Il pallino delle destre è quello dell'elezione diretta del capo. Presidenzialismo o semi, in ciò hanno trovato fertile appoggio in tutti quei settori, politici (Renzi) e non (il grosso della finanza e gli apparati economici), che mal tollerano un sistema di regole.

Agevolati nel loro percorso da una opposizione inesistente, complice di ogni stravolgimento legislativo – le tante pessime leggi elettorali, la Bicamerale, le riforme costituzionali - , se lo scopo era,dopo Veltroni, quello di garantire l'alternanza sul modello anglo-americano (due grossi poli aggregativi di forze politiche diverse, in sintesi Democratici o Conservatori), questo si è risolto nell'uniformismo politico, ed in una sua ulteriore burocratizzazione, che negando di fatto il pluralismo delle posizioni (la dittatura della maggioranza) ha praticamente paralizzato il Parlamento.Un cul de sac a cui ha cercato di sopperire, muovendosi ai limiti delle prerogative consentite, un certo interventismo del Presidente della Repubblica, che ha sollecitato i partiti a portare avanti le tante riforme impantanate nelle commissioni.Cosi da Napolitano in poi il teatrino del politichese si è risolto solo in dispetti reciproci, mentre interi settori del Paese, falcidiati dal taglio ultradecennale della spesa pubblica e dalle politiche di austerity reclamavano interventi urgenti.

L'inazione del Pubblico ha prodotto l'impoverimento, questo si, generalizzato, la svendita e le privatizzazioni, e basta guardare lo stato in cui versano la sanità, la scuola e le infrastrutture, per non parlare del lavoro e delle politiche sociali.Queste scelte di politica interna, portate avanti praticamente da tutte le forze politiche presenti in Parlamento, che hanno governato in questi trent'anni, unite all'adesione ideologico-dogmatica verso un modello europeo tecnocratico – il trattato di Maastricht, i patti di stabilità,il pareggio di bilancio (votato tra l'altro dalla Meloni)..., formalizzatosi anche con la figura di governi tecnici eufemisticamente chiamati d'unità nazionale, da Monti a Draghi, sono la conferma che se non si mettono in discussione questi Trattati è a dir poco eccessivo parlare di rafforzamento degli esecutivi.Le riforme interne riguardanti la forma di governo con l'elezione diretta, non mirano ad un maggiore coinvolgimento dei cittadini.

Non so quanto possa essere attrattiva tale questione, vista la conferma dell'astensionismo ad ogni tornata elettorale, e la depoliticizzazione crescente di individui asociali.In sintesi, oltre ad indebolire un Parlamento svuotato della rappresentanza, tramite il consolidarsi della prassi della decretazione d'urgenza, che ha di fatto già aumentato i poteri degli esecutivi, quanto dalla genialata relativa al taglio del numero dei parlamentari, si paventa un pericoloso disegno autoritario. All'interno, questo potrà comportare spazi limitati di agibilità per le opposizioni politiche ed una mancanza di confronto con gli altri rami della società, ma confermerà la sudditanza verso i poteri che contano, e cioè i centri decisionali afferenti agli imperialimi economici, politici e militari.

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