Caso Ilaria Salis. Intervista al giurista Fabio Marcelli

05 Febbraio 2024 08:00 Francesco Fustaneo

di Francesco Fustaneo

Nelle scorse giornate ha tenuto banco tra le cronache, la notizia dell'udienza di Ilaria, Salis, cittadina italiana, detenuta in Ungheria da quasi un anno, comparsa il 29 gennaio davanti alla corte a Budapest, ammanettata mani e piedi e precedentemente sottoposta a trattamenti carcerari durissimi.

L'arresto della donna è da inquadrare in una presunta rissa con dei neonazisti, in occasione della manifestazione per il “Giorno dell'onore”, un evento che si svolge da anni nella settimana dell'11 febbraio: da sempre legato a movimenti di estrema destra, nazisti e neofascisti, che si radunano nella città e organizzano cortei e proteste. Spesso si vedono in mostra striscioni con slogan antisemiti e di ispirazione nazista, proprie di formazioni di cui i militanti non nascondono l'appartenenza. Neonazisti, skinheads, hooligans a flotte raggiungono dunque la capitale ungherese con la finalità dichiarata di commemorare un battaglione nazista che, nel 1945, tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Il clima nella città magiara, in quei giorni è assai pesante: giornalisti e osservatori non sono graditi dagli organizzatori. Da qualche anno a questa parte, la polizia ungherese non autorizza le sfilate, per pericoli di ordine pubblico, ma alcuni momenti celebrativi più limitati sarebbero comunque tollerati .

Le cronache ci raccontano che la 39enne italiana, insegnante, decide di partecipare a una contromanifestazione. La polizia locale la accusa di un'aggressione (ma nel video diffuso sono tutti a volto coperto) ai danni di alcuni neonazisti. Viene fermata con un manganello: “lo aveva per difesa personale” dirà il padre.

Dalle riprese video poi diffuse vengono inquadrate due persone (che per la cronaca non hanno neanche mai sporto denuncia) che vengono circondati e aggrediti a colpi di manganello da alcuni individui irriconoscibili, poiché a volto coperto.

La vicenda per un anno è stata praticamente sottaciuta dai media nostrani, venendo alla ribalta solo in coincidenza della giornata del processo.

Per capirne un po' di più ho contattato Fabio Marcelli, giurista internazionale.

Marcelli ha presenziato lunedì 29 gennaio, come osservatore internazionale, alla prima udienza del processo, insieme ad altri delegati del Cred (Centro ricerca ed elaborazione della democrazia): “il processo si basa su prove labili , direi inconsistenti e la pena appare del tutto sproposita rispetto all'entità del presunto danno causato agli aggrediti” sono le prime cose che mi ribadisce.

“Alla Salis – continua Marcelli- sono stati fatti firmare documenti in ungherese, senza traduzione; non è stata dunque messa in condizioni di capire cosa leggeva e firmava. Aggiungo che il il processo penale ungherese è di impianto fortemente inquisitorio con un ruolo troppo prevalente del giudice e del p.m. rispetto alla difesa. Si dice che la magistratura ungherese sia indipendente, ma non ci metterei la mano sul fuoco; il processo ha tutti i connotati di un processo politico, con un governo che di contro non sembra mettere lo stesso impegno nel perseguire neonazisti che pure spesso si sono resi protagonisti di aggressioni ben più feroci.”

La Salis, si è dichiarata sempre “non colpevole” e oltre alle lesioni, l'accusa sta tentando di imputarle anche il reato di “associazione a delinquere” inquadrandola nella Hammerbande (la Banda del martello), organizzazione anarchica di Lipsia, attingendo a un un'inchiesta tutt'ora in corso in Germania , inchiesta a cui, è bene ribadirlo, la stessa insegnante risulta estranea.

Attualmente la Salis, rischia 11 anni di carcere.

“Vorrei far notare poi- afferma Marcelli- che i neonazisti aggrediti sono guariti in pochi giorni ( “Avvenire” scriveva di lesioni guarite in 5 e 8 giorni, n.d.a.).

L'accusa invece parla di lesioni suscettibili di provocare la morte, un concetto giuridico fin troppo vago, tanto è vero che in Italia non esiste.”

In tutto questo il ruolo diplomatico dell'Italia nella vicenda è stato forse fin troppo marginale.

A tal proposito secondo il giurista è necessario “affiancare all’azione degli avvocati quella dello Stato italiano, che dovrebbe esercitare pressioni adeguate a livello europeo e internazionale per ottenere il rispetto dei diritti della Salis e l’applicazione della Decisione europea, che prevede la possibilità degli imputati di essere trasferiti nel Paese d’origine. L’ambasciatore d’Italia a Budapest, che abbiamo incontrato ha mostrato del resto al riguardo una positiva disponibilità, confermata nella riunione svoltasi poco fa cogli avvocati italiani e i familiari di Ilaria, nonché in certa misura dalle stesse prese di posizione e iniziative dei competenti ministri degli Esteri e della Giustizia, anche sulla base di analoghi precedenti verificatisi in rapporto con vari Stati europei.”

In definitiva conclude Marcelli “ la vicenda di Ilaria Salis rientra in un contesto complesso e inquietante. Riportarla quanto prima in patria non è solo questione di dignità nazionale, ma anche di salvaguardia e rilancio dei valori menzionati, per garantire un futuro all’Europa e ai suoi popoli, tra i quali l’italiano e l’ungherese.”

A parere di chi scrive le critiche mosse a Orban sulla questione sono stati da parte di alcuni ambienti politici, sicuramente “non disinteressati” e strumentali alla vicenda che teneva contemporaneamente banco in Europa: ossia il paventato stop ungherese all'invio di fondi e armi U.E. in Ucraina, stop proclamato ma evaporato ben presto come neve al sole. Orban che spesso si è dimostrato pragmatico nell'amministrazione del suo paese, alla fine ha sempre però ceduto ai diktat europei (dal mancato veto all'ammissione di Kiev alle trattative per le procedure di ingresso nell'Unione Europea, al sì appunto, all'invio di nuovi fondi a Zelensky), ritagliandosi bene il ruolo di politico opportunista che mira solo ai propri interessi di governo.

E' assai plausibile che nei giorni a seguire, accantonato il problema del veto, la vicenda Salis guarda caso taciuta fino ad oggi, non venga più seguita, giornalisticamente parlando, con l'attenzione che merita. Politicamente è anche vero che il governo della Meloni, che di Orban è stata un'alleata fin dai suoi albori, ha sempre cercato di sottacere la vicenda per non creare il polverone mediatico, fino a quando il caso non è divenuto di dominio pubblico internazionale.

In questa cornice, entrando nel merito, come ha ben ricordato Marcelli, occorre che la diplomazia e lo stato italiano come da loro dovere, si interessino al caso per far rientrare in Italia la Salis e pretendano che si faccia luce sugli sviluppi giudiziari di un processo che ad oggi presenta fin troppo lati oscuri.

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