Andrea Zhok - Da Pasolini a Saviano

Poche cose impressionano di più del nostro tempo del conformismo politicamente sdraiato di artisti e intellettuali.

Siamo passati da Jimi Hendrix che sulla chitarra elettrica trasformava l'inno americano in un bombardamento, ai Maneskin, che dopo aver eseguito tutte le gesticolazioni "trasgressive" d'ordinanza, ripetono la pappetta Nato.
Da Pasolini a Saviano: una parabola mesta e deprimente, che ogni volta che sembra aver toccato il fondo, ti stupisce, inabissandosi ancora.
Ora, il punto di fondo è semplice.
L'unica cosa che giustifica l'esistenza di gente che non si occupa né di vendere scarpe, né di produrre patate, né di riparare carburatori, né di educare i bambini (o affini) è la capacità di portare alla luce il nuovo, l'inaspettato o il rimosso, in generale l'inattuale.
Che questo inattuale sia tale perché capace di far balenare il futuro o perché capace di rivivificare il passato, che lo sia perché mostra il non detto dell'ufficialità, o perché produce un'alternativa alla corrente dominante, che lo sia per la produzione di critica o di ispirazione, comunque non può, non deve essere la ripetizione o il megafono di chi già guida la locomotiva.
Se lo fa, tradisce, fingendo di essere qualcosa che non è: finge di risvegliare le coscienze e invece le paralizza e addormenta.
Se lo fa, non serve a niente e a nessuno, ma, semplicemente, serve qualcuno.

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