Dopo la bufala della censura dell’Iran sulle “mammelle della Lupa capitolina”, un nuovo video, diventato virale su Internet riapre la questione dell’oppressione delle donne in Iran

“Paese che vai usanze che trovi”? Certo. Ma quando queste “usanze” sono una flagrante violazione dei diritti umani e, per di più, sono di recente imposizione, è il caso di ribellarsi. Ci riferiamo alla faccenda del “velo” in Iran, reindossato dalle donne iraniane, paradossalmente, come momento di ribellione al regime (“occidentalizzante”, ma sanguinario) dello Scià Pahlavi e nel 1979, con l’involuzione della Repubblica Islamica, imposto (insieme a tutta una serie di norme misogine) da Khomeini. Imposizione che, comunque, non è riuscito a fermare un sotterraneo movimento di mobilitazione delle donne in Iran che ha portato a innegabili conquiste, ovviamente, negate dai maître à penser della nostrana “sinistra”, sempre impegnati ad inneggiare a “femministe” quali la Pussy Riot o le Femen.


Di questi giorni - dopo la bufala della censura dell’Iran sulle “mammelle della Lupa capitolina” - un video, diventato virale su Internet riapre la questione dell’oppressione delle donne in Iran. A tal proposito, proponiamo (per gentile concessione dell’autrice) l’articolo “Iran, schiaffeggiata perché indossava male il velo. A quest’obbligo io dico no” di Tiziana Ciavardini - giornalista e antropologa – già pubblicato sul suo blog.

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dI Tiziana Ciavardini - Fatto Quotidiano

Ci risiamo, le pagine dei giornali nostrani ci raccontano ancora una volta quanto sia criminale il regime iraniano. Soprattutto dopo aver visto il video amatoriale, diventato virale da alcuni giorni in cui si vede un agente della polizia morale donna che schiaffeggia e insulta una giovane ragazza solo perché aveva il velo indossato in maniera incorretta. Nel video la ragazza con il velo rosso insulta la poliziotta, che di conseguenza reagisce in maniera deplorevole. Sull’autenticità del video ancora nessuno si è espresso ma secondo i media di propaganda contro l’Iran il video è autentico e non una messa in scena.

Nessuno ancora lo ha scritto, ma in Iran questi episodi non sono consueti e questo è uno dei pochi casi isolati. Tanto inusuale che il ministro degli Interni Abdolreza Rahmani Fazli ha aperto una inchiesta e chiesto un rapporto sull’accaduto. Anche lo scrittore e politico riformista Abdollah Ramezanzadeh ha condannato l’episodio.

Importante dichiarazione su un tweet arriva dalla vice presidente iraniana Masoumeh Ebtekar delegata alle politiche della donna e della famiglia in Iran in carica dall’agosto 2017 che condanna fortemente il gesto, chiede spiegazioni e dichiara che nessun essere umano può essere vittima di quel tipo di trattamento nemmeno qualora venga offeso.

In Iran il velo è obbligatorio dal 1979 da quando, dopo la caduta dello Shah di Persia, prese il commando della nazione l’Ayatollah Khomeini. Dalla rivoluzione islamica in poi, la questione del velo obbligatorio in Iran è sempre stata controversa. Per alcune donne è motivo di identità e orgoglio religioso, per altre una vera e propria sottomissione ai poteri politici e religiosi del regime.


Nei miei tredici anni di permanenza in Iran ho visto questo velo, che un tempo era indossato in maniera rigorosa da tutte, ridursi in grandezza, sempre più colorato quasi impercettibile, tanto che ormai nelle strade si nota qualche donna che non fa neppure caso se dovesse scivolare davanti ad altre persone.


Il velo in Iran non è solo il simbolo della sottomissione ma è il sunto di quello che la donna rappresenta in un paese islamico. Ancora oggi mi chiedo perché una donna sia costretta a portare una pezza in testa anche se non vuole, e perché anche io che sono Cristiana devo soccombere ad alcuni precetti islamici?!


Ho indossato il velo in Iran per tanti anni a volte in maniera più rigorosa quando mi trovavo dentro o fuori le moschee o agli incontri istituzionali; altre volte quasi con tutti i capelli di fuori quando il caldo torrido estivo non dava scelta. Un giorno sono addirittura stata fermata da una donna che lamentava si vedesse la mia coda di cavallo e aveva iniziato ad accusarmi di essere straniera e quindi poco “seria”. In quel caso venni difesa proprio da un agente della polizia che mi invitava a non ascoltare le lamentele di questa donna religiosa. Poche settimane fa io a Tehran il velo l’ho tolto.


E non in privato ma nella piazza centrale del Bazaar di Tajrish. Una scena indimenticabile per me. Donne che si congratulavano invitandomi ad andare avanti nella mia battaglia sulla scelta obbligatoria del velo e donne in chador che si sono messe la mano sulla bocca in segno di stupore.


Cosa mai avró fatto? Ho solo tolto il velo, (il mio) dalla testa, (la mia) in solidarietà di tutte quelle ragazze che oggi sono nelle carceri iraniane e che rischiano dai due ai dieci anni di reclusione solo per aver manifestato contro l’uso obbligatorio. In solidarietà di tutte quelle che vorrebbero non avere un capo coperto e che per paura continuano a sopportare questo divieto.


Protestare perché si vuole scegliere la libertà non può e non deve essere considerato un reato, ma il semplice e sacrosanto diritto di ogni essere umano. Il mio velo tolto, non avrà altre repliche. Ho voluto provare come tante donne iraniane vorrebbero fare, quella sensazione di libertà, senza il peso di un pezzo di stoffa sulla testa in un semplice luogo pubblico di Tehran. È stato bellissimo e la sensazione che si prova quando ti opponi a una imposizione è davvero difficile da descrivere.


Non c’é bisogno di far cadere un “regime” perché quel regime iraniano per ora non cade, anzi rimane saldissimo, ma si può lavorare su alcune riforme. Le donne vogliono scegliere e l’episodio della ragazza con il velo rosso e la reazione ingiustificata dell’agente morale mi auguro faccia riflettere le autorità, su come l’Iran possa e debba urgentemente considerare la questione del velo che sembra ormai sfuggirgli di mano. Si auspica a una riforma in cui una donna possa scegliere se seguire i dettami islamici o no. In cui si possa scegliere di non sentirsi subalterna o sottomessa a un sistema politico/religioso nel quale una parte degli oltre 70 milioni della popolazione iraniana da tempo non si riconosce più.

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