La nuova agenda del poder popular


di Geraldina Colotti

In questi giorni, una compagna molto cara che vive facendo le pulizie, si lamentava di aver dovuto pagare 300 euro di acqua, malgrado di certo non possegga piscine. E questo nonostante 26 milioni di italiani abbiano votato contro la privatizzazione dell'acqua pubblica, nel 2011: il servizio idrico – dicono però i mercati finanziari – è un servizio pubblico locale a rilevanza economica da gestire secondo le leggi del mercato. E con il “dio mercato”, nei paesi capitalisti non si scherza.

Si tenga conto che il lavoro che fa lei, sottopagato e spesso al nero, è sempre ben al di sotto dei 1000 euro. Chi guadagna qualche centinaio di euro in più, può già ritenersi fortunato, anche se quasi tutto il salario se ne va in affitto, in mutuo o in tasse. Per vivere appena decentemente, in Italia, bisogna essere in due. E se si hanno figli, bisogna indebitarsi per pagare gli studi e ogni emergenza può diventare una tragedia.


In Italia, come negli altri paesi d'Europa, aumenta il numero di chi dorme per strada, chiede l'elemosina o muore perché la pensione non copre i bisogni vitali. “Troppa gente anziana, sta diventando un problema”, ha detto cinicamente la direttora del Fmi... Su una popolazione di quasi 60 milioni di abitanti, il 30% degli italiani ha serie difficoltà economiche, 7,2 milioni di persone vivono in povertà estrema, una cifra crescente in dieci anni.


Certo, entrando nei ristoranti, o vedendo il numero di auto di grossa cilindrata che circolano, si capisce che la crisi la pagano solo i settori popolari. In Italia, 307.000 famiglie (ovvero l'1,2% della popolazione), possiedono oltre 1 milioni di euro e il 20,9% della ricchezza finanziaria totale. E il numero dei miliardari continua a aumentare. La rabbia dei meno abbienti e della piccola borghesia, che hanno portato al governo un partito fascista e xenofobo come la Lega Nord non si è però evidentemente rivolta contro di loro, ma contro chi sta peggio di tutti, in primo luogo gli immigrati.


E' questo tipo di Europa che si riunisce a Cucuta, in Colombia, per discutere della “crisi umanitaria” in Venezuela insieme ai deputati delle destre latinoamericane. Perché siano più preoccupati della povertà in Venezuela che di quella in casa loro, dovrebbe far aprire gli occhi a quanti, anche a sinistra, vedono la pagliuzza negli occhi degli altri, ma non la trave nei propri. Se volessero risolvere i problemi in Venezuela, il minimo che dovrebbero fare sarebbe quello di togliere le micidiali sanzioni economico-finanziarie, che impediscono il pagamento di medicine salvavita e di alimenti necessari al popolo. Invece avanzano in direzione opposta, per cercare di imporre il loro sistema ipocrita e depredatore.


In Italia, siamo preda del trasformismo dal 1882: una pratica fondante del sistema politico, capace di unire forze assai diverse non sulle idee e i programmi, non per cambiare le cose, ma per conservare il sistema, nascondendone tutto lo sporco sotto il tappeto. Uno dei dati più sintomatici di questa dinamica trasformistica è l'altissimo cambio di casacca dei parlamentari, che si registra ogni mese.


Un andamento costante anche durante gli anni della IV Repubblica in Venezuela. Durante la prima elezione di Nicolas Maduro alla presidenza, seguita alla morte di Chavez, la notte dei risultati il neo presidente tenne il suo primo discorso a Miraflores. Disse che il suo avversario, il rappresentante delle destre venezuelane, Henrique Capriles, gli aveva telefonato per “mettersi d'accordo”: per tornare, cioè, alla spartizione di potere della IV Repubblica, al patto delle élite a scapito dei settori popolari. Maduro aveva rifiutato.


Da lì l'invito di Capriles a “sfogare la rabbia” contro gli ambulatori pubblici gestiti dai medici cubani e contro il popolo chavista (11 morti, decine di feriti e milioni di danni al patrimonio pubblico). Nicolas Maduro ha dovuto affrontare innumerevoli attacchi in una guerra di debole intensità scatenata dai poteri forti per rimettere la mano sulle risorse del Venezuela. Ma non ha cambiato casacca, checché ne dica la propaganda di guerra, arrivata fino ad accusarlo di aver di nuovo privatizzato il paese, svendendolo alle multinazionali. Ma se fosse così, l'imperialismo gli avrebbe fatto ponti d'oro, non avrebbe certo cercato di scavargli la fossa, cancellando persino il ricordo del socialismo bolivariano.


Altra cosa è cercare – come sta facendo la dirigenza bolivariana - il giusto punto di tenuta in condizioni ostili, il livello minimo di compromesso accettabile per non andare a fondo, salvando i principi e la sostanza del progetto rivoluzionario. E' sempre stata questa la lezione di Lenin, di Fidel, e di Chavez: definire il punto di tenuta in condizioni avverse per ricostruire nuovi rapporti di forza. E rilanciare, con la consapevolezza che il nemico cercherà quanto prima di scalzare anche quella soglia, per riprendersi tutta la torta.


E' quanto sta accadendo in Nicaragua. Per tornare al governo, i sandinisti hanno dovuto accettare alleanze “contro natura”. Per riportare il paese fuori dal baratro, concentrandosi nella lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, hanno imbarcato senz'altro anche tanta spazzatura, che adesso gli si rivolta contro, e cerca di riportare la sbarra nuovamente sotto zero per i settori popolari.


A conversar col diavolo, si rimane imbrattati. Ma davvero si può pensare che a gestire le violenze in Nicaragua sia una sinistra “pura e dura” che vuole costruire il socialismo ostacolato da Daniel Ortega e da Rosario Murillo?


L'antidoto contro il trasformismo e le deviazioni è la forza del potere popolare organizzato. Il vero rischio, in Venezuela, è che questa consapevolezza si perda nella delega e nella de-responsabilizzazione del brontolio indistinto. Di chi è la colpa se un consiglio comunale non funziona, se i leader sociali si rubano la borsa del Clap e fanno il mercato nero? Del popolo medesimo. Di chi è la responsabilità di far rispettare le leggi e i prezzi nel proprio quartiere? Non solo della polizia, ma delle organizzazioni territoriali, che hanno dalla loro la costituzione e un presidente che occupa le fabbriche insieme agli operai.


In Italia, invece, quando gli operai scioperano per i propri diritti, quando i senza casa occupano un edificio, quando i giovani occupano uno spazio per restituirlo al quartiere, vengono denunciati e sgomberati con la forza: perché, dall'Argentina al Brasile, dalla Colombia all'Europa, i governi capitalisti tutelano gli interessi dei più forti. E dunque.


Il primo e più importante livello in cui andrebbero attivate le 3R di Chavez, riproposte ora da Nicolas Maduro - Revision, Rectificacion y Reimpulso revolucionario – ci sembra quello del potere popolare. Contro la minaccia dell'imperialismo, la minaccia dell'esempio. Contro l'arroganza dei potenti, l'organizzazione di classe, l'orgoglio di non essere diventati “esqualidos”.

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