L'indignazione dei media sull'ospedale “bombardato” in Siria: un intenzionale attacco aereo?


di Francesco Santoianni

Nonostante il vociare dei media e le ipocrite proteste della Merkel contro i “bombardamenti russi”, nessuna prova, nessuna testimonianza che l’ospedale, supportato da Médecins Sans Frontières, a Tafas nel sud della Siria, sia stato colpito (tre morti, cinquanta feriti) da un bombardamento aereo e, non – poniamo – da colpi di mortaio o di cannone.

E lo stesso comunicato ufficiale della sezione italiana di MSF, non parla di bombe sganciate da aerei (se così fosse, inevitabilmente russi o siriani), pur riportando una drammatica testimonianza che, comunque, surrettiziamente lo suggerisce: “...Stavo arrivando all’ospedale per aiutare ad accogliere le persone che erano state ferite dagli attacchi aerei” afferma un membro dello staff. “Ma nel momento in cui ho raggiunto l’ospedale, sono rimasta io stessa ferita. È successo tutto molto velocemente. Ho visto quella che sembrava essere un’esplosione e poi un lampo di luce e dopo ho perso conoscenza per cinque minuti...”


Una medicheria destinata a curare i miliziani feriti? Anche se così fosse stato, di certo, non sarebbe stato lecito, secondo il Diritto Internazionale, colpirla. Questo, ovviamente se la struttura medica era segnalata come tale. Non ci vuole molto: basta una Croce Rossa o una Mezzaluna disegnata sul tetto; oppure trasmettere le coordinate GPS alle parti belligeranti. Lo aveva fatto Médecins Sans Frontières a Kunduz, in Afghanistan, per proteggere il suo ospedale, ma è stato lo stesso distrutto da bombardamenti aerei statunitensi; questo, almeno, secondo la versione “ufficiale”, anche se, verosimilmente, le cose sono andate diversamente.


Ma torniamo al “bombardamento dell’ospedale” a Tafas. Al momento nessun serio reportage, nessuna foto, solo tante voci indignate. Le stesse voci che si levarono di fronte al “bombardamento russo” del mercato di Idlib o di Douma. È forse presto per sapere qualcosa di preciso su questo episodio. Speriamo di poterlo pubblicare prima che venga soppiantato - e quindi dimenticato – da qualche altro massacro.

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