Haisam Sakhanh, star televisiva della "rivoluzione siriana" in Italia. Ergastolo in Svezia.


Sembrava una persona così perbene...”. È la classica frase che balbettano davanti alle telecamere i vicini di casa del serial killer appena arrestato. Frase balbettata con imbarazzo, non con vergogna. Perché la loro vicinanza con il mostro non è stata, certo, voluta.

Ma si può dire così anche per i giornalisti?


Ci riferiamo al caso (assolutamente silenziato dai nostrani media mainstream) di Haisam Sakhanh condannato, il 16 febbraio di quest’anno, all’ergastolo in Svezia (dove si era rifugiato) avendo ucciso, a sangue freddo - nel aprile 2012 - sette inermi prigionieri in Siria. Un crimine propagandato con un video su Youtube.


Già nel giugno 2011, Haisam Sakhanh, allora residente in Italia, per le sue violente manifestazioni era stato attenzionato dalla polizia; nonostante ciò, nel novembre di quell’anno partecipò alla trasmissione (inneggiante alla “Primavera siriana”) “L’Infedele” condotta, su La7, da Gad Lerner. Anni dopo, attaccato da “Libero” e da “Il Giornale” per l’ospitalità data ad un terrorista, Lerner si difenderà con uno stizzoso editoriale che accusava Haisam Sakhanh di essersi “infiltrato” nella trasmissione. Nessuna autocritica, dunque, sulla impostazione smaccatamente “proribelli” (che aveva permesso ad Haisam Sakhanh di “infiltrarsi”) della sua trasmissione. Va detto, comunque, che nel 2011 Lerner lavorava per una rete privata (La7) che – deontologia, a parte - è padronissima di scegliersi una sua impostazione politica e, quindi editoriale.


Per questo è apparso più grave il caso della foto (circolante dal 2013 su Internet e mai smentita) della giornalista RAI Lucia Goracci raffigurata sorridente insieme al festante Haisam Sakhanh. Foto scattata (a giudicare dalle magliette con le maniche corte che indossano i presenti) verosimilmente nella tarda primavera o nell’estate del 2012, quando cioè Haisam Sakhanh era già un jihadista. Del resto la Goracci parrebbe non essere nuova a questi “incidenti di mestiere”, considerando un suo servizio dall’Ucraina corredato da video prodotti da miliziani fascisti.


Pretendere dai giornalisti una narrazione “obbiettiva”? È sicuramente una utopia, anche per quelli non dichiaratamente embedded. Ma se sono pagati dalla RAI (un “servizio pubblico” finanziato con soldi presi dalle nostre bollette ENEL) sarebbe il caso che, quantomeno, appaiano meno di parte. E - visto che parliamo di Siria - non prendano come oro colato gli inverosimili racconti dei “ribelli siriani”. Un esempio? Date una occhiata a questo reportage della RAI.



Francesco Santoianni

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