La bufala di "Igor il russo": non solo russofobia, è strategia di controllo sociale

Forse per i media mainstream ci sarebbe stato qualcosa di più sensato da fare che alimentare la saga di "Igor il russo", evaso dal carcere di massima sicurezza di Frosinone e accusato di una serie di omicidi; ad esempio, segnalare lo sfascio delle strutture pubbliche in Italia che si direbbe investa anche la Polizia penitenziaria e i carceri di “massima sicurezza”. Ma l'occasione era troppo ghiotta per non scatenare l'ennesima campagna russofoba (e, quindi, “putinofoba”) . E così al tizio evaso – subito battezzato “Igor il russo” - viene appioppata la leggenda della "belva russa”, “il soldato dell'Armata rossa” (sciolta nel 1991) ovviamente “addestrato ad uccidere”.



Dissoltasi questa bufala si scopre che il tizio sarebbe un serbo-ungherese di Subotica. Circostanza questa che – come evidenzia l'ottima Pagina Facebook Premio Goebbels per la disinformazione - minaccia un profluvio di titoli tipo: "Ricercato il soldato jugoslavo fedele a Tito, addestrato da Milosevic ad uccidere i bambini kosovari e bosniaci" o "Ancora in fuga il bandito serbo filorusso, simpatizzante del regime xenofobo di Orban e nostalgico di Attila il flagello di Dio".

Intanto – Igor o non Igor – tutti i talk show televisivi continuano a rifilarci cucchiaiate di paura inondandoci con storie di efferati delitti e altre minacce alla nostra sopravvivenza. Certo, come strategia di controllo sociale non è un granché. Ma in tempi come questi, nei quali si direbbe cancellarsi il domani, può bastare.

Francesco Santoianni

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