Bellingcat, la fabbrica di fake news che ancora spopola tra i media "autorevoli"

19 Febbraio 2021 16:00 Francesco Santoianni

Già destinato ad intasare i talkshow televisivi il libro di Eliot Higgins, titolare del bufalaro sito Bellingcat, considerato come Vangelo da tanti giornalisti; primi tra tutti quelli del sito “fact-checking” di Enrico Mentana.

Ma com’è nata da fama di questo personaggio?

Gli esordi della carriera di Higgins sono stati raccontati in una sua intervista. Nel 2012, allora ventottenne, viene licenziato da un’azienda di Leicester, nel Regno Unito. Non avendo nulla di meglio da fare, si mette davanti al computer e, visionando filmati su Youtube comincia a “specializzarsi nello studio degli armamenti”, in particolare quelli utilizzati nel conflitto siriano; campo del quale – per sua stessa ammissione – non sapeva assolutamente nulla. Già nel 2013 diventa una “celebrità”, punto di riferimento di innumerevoli media come BBC, Financial Times, CNN, Guardian, Sky…. Per il New Yorker Brown Moses è “il migliore esperto sulle munizioni usate nella guerra in Siria”; per il nostrano Huffington Post, addirittura, “una sorta di bibbia per conoscere quali armi circolano in Siria”.

Perché i media, invece che su autorevoli istituti di studi militari (come, ad esempio il SIPRI o Jane’s) si siano appoggiati alle opinioni di un dilettante (“Prima della Primavera araba non sapevo niente di armi, niente,”) non è chiaro. Forse perché avevano bisogno di battezzare come “esperto” qualcuno che consacrasse qualsiasi bufala messa in giro dai “ribelli siriani” e dai loro sponsor. Come i “gas usati da Assad a Goutha”, una bufala smentita, oltre che da Gian Micalessin (un giornalista italiano, l’unico che si è recato subito a Goutha per verificare la “notizia”) anche da una magistrale inchiesta condotta dal Premio Pulitzer Seymour Hersh, pubblicata, addirittura sul New York Times. E dopo i gas, un’altra “notizia” - diffusa da quella che è l’agenzia stampa dei “ribelli”: l’Osservatorio siriano per i diritti umani – viene certificata da Higgins: barili carichi di esplosivo e ferraglia fatti sganciare, non si sa il perché, da Assad.

Nel 2014 Higgins, passa ad occuparsi dell’abbattimento dell’aereo di linea MH17 della Malaysia Airlines addebitandolo, ovviamente, ai separatisti del Donbass. E per “dimostrarlo” pubblica sul suo sito tutta una serie di “prove”. Memorabile è la sua pretesa di leggere nei buchi prodotti sulla carlinga dell’aereo dalla inequivocabile raffica di una mitragliatrice con proiettili calibro 30 millimetri, (la stessa montata sui caccia Su-25 dell’aviazione ucraina), gli effetti di un “missile” lanciato dai separatisti anti-Kiev; affermazione che persino alcuni giornali mainstream e autorevoli siti dedicati agli armamenti non esitano a definire “falsa”. Nonostante ciò, Higgins viene inserito nel Joint Investigative Team (Jit) che, sotto l’egida dell’Unione europea, avrebbe dovuto far luce sull’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines. Nel gennaio 2020 viene reso pubblico un rapporto dell'intelligence militare olandese che esclude l’ipotesi del missile, indica come false le documentazioni consegnate al Jit dalle autorità di Kiev e bolla come “assolutamente inadeguate” le indagini condotte dagli “esperti” del Joint Investigative Team.

Nonostante ciò, continuano a trovare credito le “rilevazioni” di Higgins. L’ultima sua “inchiesta”: scrutando, non si sa come, nel data base della Polizia russa, avrebbe scoperto che sul “fascicolo del passaporto” rilasciato ad Alexander Petrov (un turista russo a Londra indicato come “l’avvelenatore degli Skripal”) sarebbe stato apposto il timbro con la dicitura “Non fornire alcuna informazione” sulla quale è stata aggiunta a mano pure la sigla “S.S.”: “Sovershenno Sekretno”, top secret in russo.

Insomma, una storia così sgangerata che non verrebbe in mente neanche ad un autore di thriller di quart’ordine. Storia, ovviamente, ripresa da tutti i media di regime.

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