L'ennesima vergogna targata PD: Quella 'spia russa' di Assange!



di Fabrizio Poggi

Nessuno stupore; tutto pienamente prevedibile, ma non per questo meno nauseante. Quel fogliaccio liberal-democristiano che è “Democratica” non poteva mancare all'appuntamento con altre stomachevoli dichiarazioni di intenti.


La consegna, dietro pagamento in contanti, di Julian Assange agli aguzzini britannici e, tramite loro (se nel frattempo non interverrà la mano del MI5 a tacitarne la voce, con qualche “miracolosa” pozione la cui formula può esser mediaticamente attribuita al malefico GRU putiniano) alla “giustizia” yankee, ha trovato la scontata e vomitevole cantica delle sagrestie del PD. Lia Quartapelle: “Tra le reazioni internazionali, destano preoccupazione le molteplici prese di posizione di esponenti del governo russo, Paese che non brilla certo per il rispetto dei diritti dei dissenzienti e per la libertà di stampa, tra cui quella dello stesso portavoce di Vladimir Putin, Dmitrij Peskov”. Andrea Romano: “una spia russa”; Stefano Esposito: “spione al servizio di Putin”.


Questo è Julian Assange, come lo rappresentano i democratici a stelle e strisce di via Sant'Andrea della Fratte, 16, a Roma. Colpevole di non magnificare le glorie americane in tutte quelle “guerre umanitarie” sinteticamente, ma efficacemente, rappresentate dai Collateral Murder dei civili assassinati a sangue freddo in Iraq; reo di non aver eucaristicamente slinguato i piedi a quella criminale di guerra che ha retto per troppo tempo il carro della politica estera USA e che voleva liquidare lo stesso Assange con un drone da combattimento; responsabile di “eccesso doloso” nella difesa del diritto di noi mortali ad acquisire le prove di una colpevolezza yankee in ogni area del mondo, di cui non abbiamo mai dubitato; il peccatore Assange non può che essere “una spia russa”.


E mai tale accusa, di per se stessa, fu tanto infamante, per le cortesi orecchie avvezze al tenue frusciare di palme della settimana santa. “Spia russa”; due parole che, già di per sé, evocano il maligno e tanto più raccapriccianti nelle ore in cui sta per celebrarsi la resurrezione. “Spia”, come giuda; mai personificazione della perfidia fu opportuna e tempestiva; solo che il prezzo (non trenta denari, ma 4,2 miliardi di dollari, si dice) fu pagato non alla “spia”, ma a chi la consegnò. “Russa”: non ha bisogno di specificazioni; da sempre, nei confessionali cristiano-atlantici, le spie non possono che venire dalla Russia. E poi l'affondo che toglie ogni dubbio, “al servizio di Putin”: il chiodo definitivo che suggella la perversione di tanto delitto sulla bara della libertà. La libertà, quella “grande parola” avrebbe confermato Lenin, sotto la cui bandiera “si sono fatte le guerre più brigantesche; sotto la bandiera della libertà del lavoro, i lavoratori sono stati costantemente derubati”.


Spia al servizio di Putin: non certo di un potere che, da venticinque anni, non fa che arricchire gli oligarchi (secondo Kommersant, il Sole 24 russo, nel 2018 il 3% dei russi più ricchi controllava l'89% di tutte le attività finanziarie, il 92% di tutti i depositi a termine e l'89% di tutti i risparmi in contanti) e riesce, nonostante ciò, a riscuotere la simpatia della maggioranza della popolazione; no, su questo, i demo-renziani del PD provano solo invidia, per non esser riusciti a fare altrettanto. No: Assange è al servizio di quel Putin che mette argini (che poi questi siano anche interessi russi, va da sé) all'espansione yankee; e questo non può esser cristianamente perdonato, nemmeno alla vigilia dell'apertura dei sepolcri.


E in ogni caso, si vuol ribadire: molto voltastomaco; ma nessuna meraviglia. Come stupirsi, oggi, se i demo-confessionali trattano Julian Assange alla stregua di un capretto pasquale, come dire “sì, gli tagliamo la gola, ma, tanto, non sarebbe diventato che un caprone”, una spia di Putin! Perché sconcertarsi, oggi, del trattamento “purificatore” riservato a “una spia russa”, ricordando gli osanna tributati invece a colui che la scorsa estate era salito nell'alto dei cieli: quel finto “eroe di guerra” e vero guerrafondaio che fu “John McCain, un uomo speciale”, davvero “unico” per molti popoli del mondo, purtroppo per quei popoli.


Perché sorprendersi, pensando agli abbracci, alle strette di mano, ai salmi tributati ai nazigolpisti ucraini: loro sì, ne siamo sicuri, non sono certo “spie di Putin”; anche se poi, di tanto in tanto, per farsi dispetto tra loro, non trovano che la più infamante delle accuse: quella di essere “spie del Cremlino”.


Perché sbalordirsi, oggi, ripensando alle laudi che dagli altari liberal-reazionari vengono innalzate ai “nostri valori, quelli della democrazia e della libertà”, invocando il golpe reazionario in Venezuela, ben pianificato da quegli angeli custodi della democrazia che siedono a Langley e che, loro no, non si mettono certo a spargere per il mondo informazioni sulla “Pacem in Terris” portata così amorevolmente su Siria, Libia, Iraq, Jugoslavia... ma non torniamo tanto indietro nel tempo, per non evocare lo spirito di quel “uomo speciale” quando bombardava i civili in Viet Nam. Fermiamoci qui, per non rischiare anche noi di cadere in quel pericoloso “sbilanciarsi verso Mosca” di quanti stanno “accantonando il tradizionale europeismo e atlantismo dell’Italia”.


Soltanto: che mal di stomaco.

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