Intervento illegale turco in Siria: la dura condanna dell'Egitto



L’Egitto ha condannato fortemente l’intervento militare turco in Siria, nella regione di Arbin, nel nord del Paese nella zona controllata attualmente dai curdo-siriani, dove sabato 20 gennaio 2018 soldati del governo di Erdogan hanno bombardato città e villaggi, causando la morte di nove persone, tra cui sei civili, ed il ferimento di altre tredici.

L’operazione è cominciata alle ore 17.00 di sabato 20 con il bombardamento da parte di 72 velivoli e il bersagliamento di 113 obiettivi.

La dichiarazione di condanna è stata rilasciata dal Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, aggiungendo che l'operazione mette in serio pericolo gli sforzi finora portati avanti per raggiungere una soluzione politica alla crisi siriana e per adoperare misure atte a sconfiggere il terrorismo.

Il ministro degli Esteri ha ribadito il rifiuto da parte dell'Egitto di tutte le soluzioni militari che aumentano le sofferenze del popolo siriano, a cui chiede di partecipare alle iniziative che possono aiutare a mantenere sovranità e unità del Paese.





Il primo ministro turco, Binali Yildirim, ha dichiarato che domenica 21 gennaio sarebbe iniziata invece una conseguente “operazione di terra”, sempre ad Afrin.
In giornata truppe turche avrebbero attraversato il confine siriano per 5 km., senza incontrare a loro dire particolare resistenza.

Anche il presidente siriano Bashar Al Assad è intervenuto, accusando Ankara di fomentare il terrorismo, e questo fin dall'inizio del conflitto in Siria, sostenendo gruppi che si oppongono al governo.

A sua volta Erdogan ha accusato le truppe curde presenti in territorio siriano di essere finanziate e sostenute dal Pentagono, che intende così, o intenderebbe, costituire basi proprie in territorio nord-siriano sotto la copertura dello Stato curdo, curdi che sono uno storico alleato regionale degli americani, in Siria come nel nord dell’Iraq.

Erdogan ha accusato i curdi di aver ricevuto ben 5.000 camion carichi di armi e provenienti da Oltreoceano.

La Russia, che è presente nella regione dal settembre 2015 quando è intervenuta a sostegno del governo di Assad, ha ritirato le proprie truppe a seguito dell'attacco ad Arbik, per assicurare protezione ai propri soldati impegnati nel piano di ricostruzione della Siria.

Il Ministero della difesa siriano ha dichiarato inoltre che la situazione sarebbe il risultato dell'appoggio logistico e della fornitura di armi da parte del Pentagono alle fazioni che lottano contro il governo.

Il rappresentante del Kurdistan settentrionale siriano a Mosca, Rodi Osman, ha dichiarato che le truppe turche non sono comunque riuscite ad entrare nella città di Afrin, come si erano prefissate, avendo trovato una consistente resistenza da parte curda, e che le fortificazioni installate dai turchi sarebbero state rimosse dai soldati curdi.
L'esercito siriano avrebbe inoltre contrattaccato, lanciando tre razzi che sono caduti in territorio turco, presso la città di Kilis, ferendo una persona.

L'obiettivo dichiarato dal governo turco per l’operazione era la creazione di una “zona di sicurezza” di 30 chilometri all'interno del territorio siriano per “liberarla dai terroristi”, senza però il coordinamento con il governo siriano.

Non è la prima volta che le truppe turche sconfinano, considerando la "questione curda" un affare interno del governo di Ankara anche se su territorio straniero.
Secondo i curdi, la Turchia con quest’operazione starebbe cercando di ricreare la zona dell’"Alexandret Sanjak", un distretto storico dell'ex Impero ottomano, che fu accorpato alla Siria dalla Turchia nel 1820, quando l’allora governo francese aveva il mandato di ridisegnare i territori tra Siria e Impero ottomano: lo ha dichiarato il portavoce delle unità di autodifesa curde (YPG) Nuri Mahmoud.


G.D.

Fonti: Egypt Today - Sputnik Italia - RT

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