L'ultima carta degli Usa: riprende il corteggiamento occidentale dell'Arabia Saudita

10 Gennaio 2024 07:00 Francesco Guadagni

L’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden ha affrontato una serie di fallimenti, senza soluzione di continuità, nei confronti dell’Arabia Saudita. Biden mise le basi di queste relazioni fallimentari, annunciando durante la campagna per le presidenziali che avrebbe ridotto l’Arabia Saudita ad uno stato di “paria” in seguito all’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi.

Le cose non sono andate meglio con la guerra in Ucraina. Riad si è rifiutata di aumentare la produzione di petrolio per supplire al blocco degli idrocarburi imposto alla Russia, anzi si è accordata in sede Opec con Mosca per diminuirla. Nel 2023, da registrare il ritorno delle relazioni diplomatiche con l’Iran mediato dalla Cina, nonché quello con la Siria e il congelamento del processo di riconoscimento di Israele che era stato avviato ai tempi di Donald Trump. Un rallentamento in atto già prima che Israele avviasse il suo massacro contro i palestinesi nelle Striscia di Gaza.

Il 2024 è iniziato con l’ingresso ufficiale dell’Arabia Saudita nei BRICS, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Insomma, sicuramente, non una buona notizia per Washington.

L’Arabia saudita è considerata ancora un’ancora di salvezza per gli USA e l’occidente, non a caso il corteggiamento diplomatico, al limite del patetico, prosegue. Finora, con il sistema di difesa missilistico Patriot, vendutogli da Washington, Riad intercetta missili e droni che Il governo de facto dello Yemen guidato da Ansarallah lancia contro Israele come atto di sostegno ai palestinesi a Gaza.

Tale circostanza è stata confermata pochi giorni fa dal Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock nel corso della sua visita in Israele, la quale ha giustificato la vendita all’Arabia di 48 jet Eurofighter, in quanto contribuisce in modo determinante alla sicurezza di Israele, anche in questi giorni, e contribuisce ad arginare il rischio di una conflagrazione regionale".

In questi giorni, è tornato, nuovamente, il Segretario di Stato USA Anthony Blinken in Asia occidentale, a colloquio con vari paesi per fermare l’escalation e non solo, mettere una toppa al massacro che Israele sta compiendo a Gaza.

Non a caso Blinken, ieri, ha incontrato il principe saudita Mohammed bin Salman (MbS), ribadendo con un certo entusiasmo che i sauditi sono ancora interessati a normalizzare i rapporti con Israele. Cosa che, se avvenisse, darebbe una boccata di ossigeno a Biden per le prossime presidenziali, allo stesso tempo, accontenterebbe anche Israele, dal momento che Hamas come altri movimenti palestinesi contrastano la normalizzazione di alcuni paesi arabi e Tel Aviv.

Il nuovo tour di Blinken nei paesi arabi certifica la difficoltà oggettiva di Washington, peggiore quasi, del pantano ucraino. Non riesce in nessun modo a fermare la furia distruttrice di Israele e poco può fare per evitare un’escalation in altri paesi come Libano, Yemen e Iran.

Insomma, anche questa volta gli Stati Uniti sono davvero in difficoltà, come capitato alte volte nella Storia, non riescono a fermare i mostri che hanno loro stesso creato.

Da parte sua l’Arabia Saudita dovrà decidere se mantenere una parvenza di decisione indipendente come avvenuto per la guerra in Ucraina. Accettare la normalizzazione con Israele sarebbe l’ennesimo tradimento alla causa palestinese.

Per quanto sia in divenire la tragedia di Gaza con un massacro che non conosce uguali, Israele, nonostante l’appoggio degli USA e dell’occidente tutto, deve fare i conti con un accerchiamento senza precedenti. Non solo il Libano con Hezbollah, lo Yemen è più determinato che mai con i blocchi navali nel Mar Rosso, l’Asse della Resistenza in Siria e Iraq che attacca sovente le basi statunitensi, non resterà a guardare, forte della sua preparazione e organizzazione militare ricevuta in eredità dal comandante iraniano della Brigata al Quds del corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica, Qasem Souleimani, ucciso il 4 gennaio del 2020, su ordine di Trump, anche per soddisfare Israele.

Souleimani sarà pure morto, ma la sua “eredità” non solo politica, vive. Le tonnellate di bombe sganciate questa volta su Gaza non sembrano impressionare il mondo arabo che da decenni cerca riscatto contro alla presenza nella regione di Usa e Israele.

Non a caso l’operazione “Tempesta di Al Quds” di Hamas è avvenuta il 7 ottobre, 50 anni dopo quella che in occidente è definita la “guerra del Kippur”.

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