PICCOLE NOTE
Perdurando la macelleria di Gaza grazie agli aiuti americani, due eventi rilevanti hanno rischiato di allargare il conflitto mediorientale: l’attentato in Iran, a Kerman, nel corso di una commemorazione del generale Qassem Soleimani, costato la vita a 103 persone; e l’assassinio, a Beirut, di Saleh al-Arouri, numero due dell’ufficio politico di Hamas.
L’assassinio del leader di Hamas, al-Arouri
Iniziamo dal primo. Un articolo di al Jazeera spiega perché Israele ha colpito al-Arouri e perché ora. Anzitutto perché era un leader di grande intelligenza e con contatti internazionali: difficile da sostituire; inoltre perché aveva “stretti e frequenti contatti fisici con il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, e con i numerosi rappresentanti politici e militari iraniani presenti a Beirut”, cioè per porre criticità al sostegno iraniano a Hezbollah.
A tali motivi ci permettiamo di aggiungerne altri. Perché a Israele serve un successo al giorno per alimentare la sua propaganda ed evitare che l’opinione pubblica interna si interpelli sulla mancanza di risultati della campagna militare. Infatti, a fronte dei tanti militari caduti (175 ufficialmente, ma sono di più, mentre i feriti si contano a decine di migliaia), “dopo quasi tre mesi di guerra, Hamas continua a controllare Gaza”, come annota Yossi Verter in un articolo di Haaretz del 5 gennaio. Serviva un trofeo, dunque, ed è saltata una testa.
Ma l’omicidio serviva soprattutto a interrompere i negoziati in corso tra Hamas e Israele per la liberazione degli ostaggi in cambio di una tregua. Dopo l’assassinio, infatti, Hamas ha interrotto i negoziati. Se la guerra deve durare, come da desiderata di Netanyahu, tutti i fili di comunicazione tra le parti devono essere recisi.
Quanto all’allargamento del conflitto, non sfugge che l’omicidio sia avvenuto poche ore prima del discorso (preannunciato da giorni) dal leader di Hezbollah Sayyid Nasrallah. Poche ore per pensare da cui possibili passi falsi: avrebbe potuto rinunciare al discorso, un segnale di debolezza che Israele avrebbe brandito come ulteriore vittoria; oppure poteva aprire il nuovo fronte, consegnando a Netanyahu l’agognata guerra i Libano.
In un articolo pubblicato sull’Orient le Jour, giornale libanese di rito occidentale, un commento precedente l’intervento di Nasrallah molto interessante: “Dieci anni fa Sayyed disse che, se Israele avesse colpito Beirut, avrebbe colpito Tel Aviv, ma oggi siamo sull’orlo della guerra. Non credo che la risposta sarà immediata. Sarebbe cadere nella trappola di Israele”. E così è stato. Nasrallah ha detto tante cose, ma la guerra è stata evitata.
Anche le bombe esplose a Kerman avrebbero potuto portare Teheran a rispondere a Israele, che ha accusato di aver organizzato l’attacco terroristico. Una ritorsione che avrebbe aperto il vaso di Pandora.
Per un giorno i media occidentali hanno tentato di trovare qualcun altro a cui addossare la colpa, non potendo permettersi di accostare Israele o gli Stati Uniti a un’azione di chiara marca terroristica. Così hanno scomodato un po’ tutti: curdi, nazionalisti, minoranze di tutti i tipi; e ovviamente l’Isis…
In questa ricerca affannosa di un capro espiatorio, si è evitato di elencare sospetti che avrebbero dovuto essere elencati di diritto, avendo già organizzato attentati simili in territorio iraniano, i Mojahedin del popolo iraniano, meglio noti come Mek. Il punto è che, nonostante siano note le loro attività terroristiche, hanno ottimi rapporti sia con i politici americani che con Israele. Quindi, non si sarebbe evitato il collegamento indicibile Tel Aviv – Washington – Terrore.
Restava l’Isis, anche se, come annotava Dagospia, ha sempre rivendicato tempestivamente i suoi attentati. Peraltro, l’ipotesi che si trattasse dell’Isis, prima della rivendicazione, era stata collegata alla lotta che il generale Soleimani aveva condotto contro l’organizzazione terroristica.
Ma anche questo particolare, tanto imbarazzante per la propaganda occidentale (perché a uccidere l’uomo che ha debellato il Terrore sono stati gli USA), è stato eluso dai media al momento di riferire la rivendicazione successiva.
Al di là del particolare, resta che la rivendicazione è arrivata troppo tardi per avere un briciolo di credibilità e peraltro le forze dell’Isis sono state ormai “degradate“, come aveva dichiarato il giorno precedente l’attentato il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale USA John Kirby (con tempismo invero sfortunato, poveretto).
Va notato, peraltro, che l’operazione attuata a Kerman è stata più che sofisticata, dal momento che l’Iran è in uno status pre-bellico, quindi controllato palmo a palmo dalla Sicurezza (alcuni giorni fa, l’impiccagione di quattro persone accusate di legami col Mossad).
L’Isis ha portato pochi attacchi all’interno dell’Iran a motivo dell’efficacia delle azioni di contrasto dei Guardiani della rivoluzioni, acerrimi nemici dell’organizzazione. Davvero arduo che riesca ad attuare un’operazione tanto sofisticata ora che le difese sono al massimo.
Nonostante tutto, però, forse il marchio Isis sull’attentato va bene a tutti: evita a Teheran di dover rispondere in maniera eclatante (lo farà in altro modo) e di innescare così il non desiderato conflitto.
Ed evita che un attentato negli USA o in Israele, purtroppo sempre possibili (soprattutto negli States), sia immediatamente identificato come risposta di Teheran, con guerra conseguente. E probabilmente era proprio aprire questo secondo scenario lo scopo dell’attentato.
Come si nota da quanto abbiamo scritto, la guerra di Gaza con le tensioni interconnesse che vanno dal Libano al Mar Rosso, offrono varie e sofisticate opportunità a quanti vogliono allargare il fronte. Per questo urge che la macelleria di Gaza finisca subito.
Ma perché accada non si può attendere che Israele si fermi. Si fa solo il gioco di chi vuole che la guerra continui. “La soluzione deve essere imposta dall’esterno”, come ha dichiarato Josep Borrell. Benché inutile, come tutta l’evanescente nomenclatura europea, l’Alto rappresentante della Ue sa però di cosa parla, avendo trascorso parte della sua giovinezza in un kibbuz israeliano.
Servirebbe un dialogo sul punto tra Russia e Stati Uniti, come accadeva al tempo della Guerra Fredda quando certe follie a rischio globale erano impossibili. Ma gli USA non hanno nessuna intenzione di adire a tale opzione, aggravando ulteriormente le loro responsabilità nella mattanza di Gaza e sui nefasti scenari che si prospettano.
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