"Non dobbiamo uccidere capitano". Nella polizia colombiana le prime defezioni al massacro della popolazione

06 Maggio 2021 14:03 Fabrizio Verde

«La Colombia è un regime in guerra permanente contro il suo popolo dagli inizi del secolo XIX. Da quando il venezuelano Simón Bolivar, che guidò la guerra d’indipendenza contro la Spagna, ormai tradito, lasciò il potere», questo l’incipit di un articolo del giornalista e scrittore colombiano Hernando Calvo Ospina dove spiega alla perfezione le reali motivazioni che si celano dietro l’esplosione della rabbia popolare contro il regime neoliberista di Ivan Duque.

Il regime per tutta risposta ha usato il pugno di ferro. La repressione è brutale. Il bilancio è ancora poco chiaro perché il governo non fornisce cifre ufficiali, ma l’ONG Temblores attiva nella difesa dei diritti umani comunica che ci sarebbero 222 casi di vittime di violenza fisica, 37 omicidi, 831 detenzioni arbitrarie, 312 interventi violenti, 22 persone con lesioni agli occhi, 110 vittime di proiettili sparati da agenti di polizia e 10 casi di violenza sessuale.

Finanche nelle stesse forze di polizia inizia a serpeggiare il malcontento. Gli agenti sono stanchi di reprimere il proprio popolo come ordinato dal regime. L’agente della polizia nazionale colombiana Denilson Scott González ha recentemente rassegnato le dimissioni. Il giovane ha affermato di disapprovare che la forza pubblica del paese vicino stia massacrando le persone che lottano per i loro diritti.

L’ormai ex agente ha affidato le proprie riflessioni al social network Facebook: «Rinuncio a questo, che era il mio sogno di indossare la divisa verde oliva. Perché la mia vocazione era servire il Paese, ma con tutto ciò che si vede oggi, mi fa schifo, qualcosa di apolitico, al servizio dei politici».

Nelle sue riflessioni l’agente sottolinea che la polizia «è stata creata per le persone. Per salvaguardare la sicurezza dei colombiani. Per non massacrare chi si batte per gli stessi diritti di chi ha la divisa e con quelle riforme verrano eliminati».

Le dimissioni di Scott González hanno fatto rumore dentro e fuori le forze di sicurezza, arrivano proprio mentre il regime ha ordinato un ulteriore stretta repressiva contro i manifestanti.

Quello di Scott González non è l’unico caso: il giornalista Carlos Ceron ha reso noto che all’interno della polizia colombiana un alto numero di agenti pensa di fermarsi perché ritengono inaccettabile essere mandati in strada a reprimere cittadini che manifestano per i propri diritti.

In un video diffuso su Twitter si vede un agente che in lacrime afferma al proprio superiore: «Non dobbiamo uccidere capitano».

Oltre a perdere il controllo della piazza il regime di Duque sembra perdere anche il sostegno delle proprie forze di sicurezza. Gli agenti, che vivono gli stessi problemi dei manifestanti, causati dalle politiche criminali del regime neoliberista di Ivan Duque, sono stufi di scendere in piazza a reprimere brutalmente le sacrosante proteste popolari.

Adesso il regime rischia il collasso.

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