La guerra di Murdoch e l'ala "israeliana" del Partito Repubblicano: eliminare Trump

Mentre lo spoglio delle schede elettorali delle Midterm procede con lentezza estenuante, erodendo sempre più il già esiguo successo dei repubblicani, si infiamma la battaglia per eliminare Trump dalla scena politica dell’Impero, che vede la convergenza tra i democratici e l’establishment del partito repubblicano.

Allo scopo, oltre ad addossare a Trump la responsabilità della mancata vittoria dei repubblicani, ha preso abbrivio la campagna per fare del governatore della Florida Ron DeSantis il prossimo candidato del Gop alla presidenza degli Stati Uniti al posto del Tycoon prestato alla politica.


La guerra di Murdoch

Tale sviluppo è stato preparato in anticipo, prima ancora cioè che si svolgessero le Midterm. Lo scrive il Guardian in un articolo nel quale si racconta l’avversione di lunga data di Rupert Murdoch – patron del Wall Street Journal, del New York Post, di Fox tv e altri media – verso Trump.

Infatti, la virata dell’establishment repubblicano verso DeSantis è stata improvvisa e sorprendente. E però, come scrive il Guardian, si ha “la sensazione che ciò fosse stato pianificato in precedenza, che le corazzate di Murdoch avessero deciso in anticipo non solo che Trump fosse finito, ma che avessero anche identificato il loro nuovo uomo”.

Infatti, prima che i media di Murdoch iniziassero a sparare a palle incatenate su Trump per l’esito delle elezioni, aggiunge il tabloid britannico, il New York Post “celebrava la rielezione di Ron DeSantis […] con una prima pagina che lo acclamava come ‘DeFuture’”.

Insomma, la contesa tra i due galli del partito repubblicano è iniziata, anche se DeSantis ancora non ha fatto nessun passo formale per una sua eventuale candidatura; ma, come gli rimprovera Trump, non sta neanche smentendo tale prospettiva.

L’esito di questa contesa è incerto, ma Trump, inseguito dalle inchieste giudiziarie e apertamente contestato dall’establishment del suo partito, sta attraversando il momento più critico della sua carriera politica.

Dato ciò, val la pena osservare da vicino il nuovo che avanza, perché potrebbe diventare il prossimo imperatore d’Occidente, cosa che interessa i destini del mondo.

A tracciare un profilo di DeSantis è il Washington post, che incenerisce la narrativa che fa del nuovo che avanza una sorta di fotocopia vincente di Trump, ritagliata sul personaggio per spostare su di esso il consenso di cui gode l’ex presidente tra la base repubblicana.


L’interventista

Anzitutto, annota il Wp, “DeSantis è più un semplice funzionario del partito repubblicano che il burrascoso uomo d’affari diventato politico incendiario” (Trump).

“In un certo senso – prosegue il Wp – il passato di DeSantis lo rende più vicino all’ex segretario di stato Mike Pompeo, le cui tendenze più interventiste a volte erano in contrasto con Trump”, cenno di grande interesse per quanto riguarda le basi della politica estera di una sua eventuale presidenza.

Infatti, “la maggior parte delle sue dichiarazioni riguardanti la politica estera si adatta perfettamente alle linee guida preesistenti, piuttosto che allo stile tanto spesso personale di Trump”.

“DeSantis – dettaglia il WP – ha condannato la Russia per l’invasione dell’Ucraina ed è stato critico nei confronti della decisione del presidente Biden di ritirarsi dall’Afghanistan [ordinata da Trump ndr]. È anche fortemente avverso ai tradizionali nemici degli Stati Uniti come l’Iran, e in particolare all’accordo nucleare con Teheran, così come ai nuovi rivali, tra cui la la Cina, e si è impegnato a essere ‘il governatore più filo-israeliano d’America’”.

Uomo della Florida, ha una grande empatia con i cittadini del suo Stato per quanto riguarda l’interesse di alcuni Paesi sui quali si concentra la loro attenzione, cioè “Cuba, Venezuela, Colombia e Haiti”.

Insomma, un interventista a tutto tondo, anche se, annota il Wp, quando Elon Musk lanciò una sua proposta di pace tra Russia e Ucraina via twitter, lo ha difeso dalle critiche che si è attirato dalle autorità di Kiev.

Ma forse, nel caso specifico, tale difesa discendeva più che dalla condivisione delle idee del miliardario dal fatto che questi in precedenza lo aveva indicato come nuovo candidato presidenziale del Gop al posto di Trump…

I rapporti con Netanyahu

Per quanto riguarda la prossimità a Israele che DeSantis ha sbandierato, si può notare che egli sarebbe un ottimo interlocutore per Netanyahu, tornato al potere in Israele in coincidenza con l’ascesa di DeSantis a nuova stella del firmamento del Gop.

Il fatto che Netanyahu diffidi dell’establishment del partito democratico è notorio – dal momento che esso conserva l’idea dei due Stati come unica possibile soluzione del conflitto israelo-palestinese -, come noti sono i suoi pessimi rapporti con Biden, nonostante le recenti manifestazioni di simpatia nei suoi confronti del presidente Usa.

Più riservate, ma non per questo meno accese, le divergenze tra Netanyahu e Trump, in particolare sull’Iran, perché l’ex presidente non ha assecondato a suo tempo la spinta del premier israeliano per una guerra contro Teheran, anzi era quasi arrivato a trovare un accordo con essa (vedi sul punto le memorie dell’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa John Bolton).

DeSantis, peraltro, si è lanciato in un elogio sperticato di Netanyahu nel corso di una sua visita a Gerusalemme avvenuta nel ’19, dichiarando che il premier israeliano “è stato un modello di forte leadership per Israele nel corso del suo incarico. Attendo con impazienza il prosieguo della nostra collaborazione perché la Florida resta lo stato più filo-israeliano della nazione”.

Inoltre, l’assertività di DeSantis sui temi etici sarebbe una manna per lo storico elettorato israeliano di Netanyahu. Tale feeling con il nuovo messia d’Israele, se DeSantis arriverà mai alla Casa Bianca, avrebbe il suo peso nella politica estera Usa in Medio oriente, area chiave della politica imperiale.


Sanare la polarizzazione della società americana

Da vedere se Trump riuscirà a resistere alla tenaglia che si sta stringendo su di lui. Ha risorse, ma limitate. E resta da vedere se DeSantis, nel caso si concretizzi la prospettiva di una sua corsa alla Casa Bianca, riuscirà a prevalere sul competitor democratico.

Quel che è certo è che il sistema che ha penalizzato Trump non sembra avere un simile rigetto verso il governatore della Florida. Anzi, una presidenza repubblicana avulsa dalle idee isolazioniste di Trump potrebbe risultare ben accetta, avendo le potenzialità per sanare il conflitto che sta polarizzando la società statunitense.

Ma allo scopo DeSantis dovrebbe forse stemperare la sua assertività sui temi etici, cosa non impossibile anche perché potrebbe frenarlo in una contesa presidenziale. D’altronde, Washington val bene una messa.

Ma tale conversione potrebbe anche non essere necessaria. All’establishment è sufficiente l’interventismo, carburante indispensabile al complesso militar industriale. Il resto è teatro a uso interno.

Detto questo, il primo ostacolo sulla sua strada resta Trump, il quale non è per nulla intenzionato a gettare la spugna e ha già iniziato a sparare a palle incatenate contro il possibile competitor.

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