APRIRE LE GABBIE ALLE TIGRI ANZICHÉ CAVALCARLE

di Michelangelo Severgnini

Viene riportata una frase di Fabrizio De Andrè che negli ultimi tempi mi torna in mente alquanto spesso.
"Preferisco, sono più portato ad aprire i cancelli alle tigri che non a cavalcarle. Questo vuol dire, metaforicamente, aver dato un input (laddove una canzone lo può dare) a una determinata classe sociale, a ribellarsi a determinate vessazioni, ad andare in piazza a rivendicare i propri diritti. Nel momento stesso in cui le tigri sono uscite dalle gabbie, non mi sento adatto a cavalcarle, anche perché avrei idiosincrasie sia di comando (non saprei dove condurle), sia di obbedienza: non saprei esattamente dove essere condotto".
Il mio lavoro può essere raccontato con questa categoria, quella delle tigri.
Quando nell'estate 2018 mi ritrovai in contatto con la Libia, in tempo reale, ricavandone una storia capovolta, mi fu chiaro da subito che nessuno avrebbe finanziato questo lavoro.
Mi era chiaro che nessuno gli avrebbe dato spazio volentieri.
Questi per non pregiudicare i propri interessi, quelli per provinciale disinteresse.
Eppure le tigri ingabbiate dentro questa storia erano così feroci che non si potevano lasciare dove stavano.
Nessuno le cavalcava. Nessuno apriva loro le gabbie.
Perché raccontare una storia di occupazione militare, furto internazionale di petrolio, tratta di esseri umani e coinvolgimento occidentale, soppressione della democrazia in Libia ecc... senza che niente di tutto ciò fosse stato mai nemmeno per sbaglio nominato in Europa, equivale a voler aprire la gabbia delle tigri.
C'è poco da cavalcare qui.
Sono legnate sui denti ad ogni capoverso da scrivere.
A queste latitudini non si spinge nessuno. Non certo la sinistra sorosiana.
Ma neanche gli altri. Gli altri chi?
Per la maggior parte sono tutti cavalcatori di tigri o aspiranti tali.
Se non è l'Ucraina è Gaza. Se non è Gaza è il Venezuela. Se non è il Venezuela è Taiwan. Poi si ricomincia daccapo.
I cancelli in quel caso sono già stati aperti e le tigri scappano se non ci salti sopra in fretta.
Il mese scorso, per esempio, sono stato presente ad un incontro a Bari presso la sede locale di Marx21, durante il quale sono intervenuti alcuni redattori di OttolinaTv, tra cui il Giuliano Marrucci.
Mi hanno colpito un paio di concetti esibiti durante l'incontro: la militanza intermittente, presentata come la nuova sciagura dell'umanità, e la sventagliata sulla sala contro il complottismo.
La militanza intermittente potrebbe essere scongiurata, secondo quanto affermato durante l'incontro, attraverso la retribuzione dei giornalisti militanti. E per scongiurare la militanza intermittente di lettori e spettatori come si fa? Paghiamo anche quelli?
Ad ogni modo la cosa mi ha fatto trasecolare: ma come, allora io che da 6 anni conduco una ricerca gratuita che nessuno finanzia sono un fesso? Avrei dovuto cercarmi una tigre anch'io?
E com'è invece che pur senza fondi in 6 anni non c'è stata nessuna intermittenza nel mio impegno?
Com'è che i fondi che mi hanno proposto li ho persino rifiutati, perché intendevano insegnarmi cos'è "divisivo" e cosa no, cosa si può dire e cosa no?
Quanto al complottismo, sono trasecolato la seconda volta. Ma a riguardo mi sono già espresso nel mio ultimo documentario "Il crollo" e potete trovare già lì dentro una riflessione.
Ad ogni modo, in sintesi, non sono abituato a dividere tra tesi complottiste e tesi non complottiste, ma tra tesi dimostrate e tesi non dimostrate, tra fatti dimostrati e fatti non dimostrati.
Però, certo, ho pensato: questi le tigri sì che le sanno cavalcare.
E infatti dalla Libia si tengono a debita distanza.
Lì non c'è nessuna tigre da cavalcare.
Lì c'è solo tanta fatica, controvento, per cercare di disincastrare questo cavolo di cancello della gabbia che non si apre.
Sono 6 anni che ci sto provando. Da solo.
E non ce l'ho fatta.
Dentro la gabbia ci sono delle tigri bellissime, maestose, lucenti.
Si chiamano libertà, anticolonialismo, azzeramento della cooperazione internazionale intesa come ingerenza nelle società altrui, azzeramento delle Ong intese come ancelle della menzogna, riconquista della sovranità del Mediterraneo, fine del saccheggio del petrolio libico, fine della propaganda Nato all'interno della sinistra italiana, propaganda subdola e onnipresente.
E altre tigri ancora che non so nemmeno nominare, per paura di rovinare la loro bellezza.
Ma sono tutte rinchiuse dentro la gabbia.
Se ce la faccio, se riesco ad aprire il cancello della gabbia, io torno a fare il musicista.
Garantito.
Non mi metterò a cavalcare queste tigri, per via delle stesse idiosincrasie di De Andrè, quella di comando e quella di obbedienza.
E poi perché un lavoro me lo posso trovare anche senza cavalcare le tigri.
Ma finché questo cancello non si apre, io sto qui e tiro e spingo, spingo e tiro.
Senza intermittenza. Senza fondi. Senza padroni. Senza parole "divisive" da evitare per puro marketing.
Se la parola è vera, se il fatto è vero, io lo dico e lo scrivo, senza paura di dividere alcunché, se non il mondo in oppressi e oppressori (e in chi gioca a difendere gli oppressi con i soldi degli oppressori).
L'11 settembre scorso il film "L'Urlo" è stato proiettato a Berlino, presso lo storico cinema alternativo Kino Moviemento.
Mi sono avvicinato al quartiere generale della manipolazione delle coscienze tramite buoni sentimenti, ossia quella Berlino capitale delle Ong.
Ho dato loro la possibilità di venire a ripetere di persona in pubblico le falsità prodotte intorno a questo lavoro e da loro divulgate sotto forma di insulti, censura, diffamazione.
Non si sono presentate.
Loro lo sanno di essere un bluff. E se dicono che denunciano questo e quello lo fanno solo per finta, a meno che non si tratti di Salvini (ma in questo caso è un gioco di finzione, entrambi stanno dalla stessa parte, con le milizie di Tripoli contro il popolo libico, a favore della nuova schiavitù come comandano i loro padroni, che sono gli stessi, o sono molto amici tra loro: Confindustria per Salvini e la grande finanza per le Ong).
La sala del cinema era dunque sostanzialmente vuota.
A spingere per aprire il cancello della gabbia non c'era nessuno.
E io, da solo, non ce la faccio.
Ma io rimpianti non ne ho, ad ogni modo.
E pur davanti a una sala vuota, come da foto, io sorridevo felice.
La gabbia è ancora chiusa. È vero.
Ma le tigri là dentro sono ancora vive.

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