Il traffico illegale di armi dagli Stati Uniti verso il Messico è un problema strutturale che alimenta la violenza dei cartelli da decenni. Il 74% delle armi sequestrate in Messico proviene da suolo statunitense: sono vendute legalmente, poi deviate verso il crimine. E Washington continua a guardare altrove. La presidente Claudia Sheinbaum ha rotto la diplomazia ipocrita e chiesto con forza che gli Stati Uniti si assumano le proprie responsabilità: “Non si può parlare solo del Messico. Chi vende? Chi lava il denaro negli USA?”.
Le rotte del traffico sono note, le armerie coinvolte hanno nomi e indirizzi, eppure restano operative. Non basta la cooperazione simbolica o qualche legge di facciata. Le armi statunitensi — pistole, fucili d’assalto, ghost guns — sono oggi strumento di massacri e di controllo territoriale da parte di gruppi criminali. E il governo messicano non accetterà mai truppe straniere come “soluzione”.
Sheinbaum prepara nuove denunce contro i produttori di armi USA e riforme costituzionali per blindare la sovranità messicana. Se gli Stati Uniti vogliono davvero combattere il narcotraffico, inizino col chiudere i rubinetti di piombo che partono da casa loro.
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