Biden, la guerra in Ucraina e il ruolo dell'establishment di Washington

03 Aprile 2023 08:00 Piccole Note

“Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina la Casa Bianca ha tenuto incontri regolari con personalità di spicco dell’establishment della politica estera di Washington per tenere informati i dirigenti dei think tank e gli esperti più importanti su quel che l’amministrazione pensava e pianificava per contrastare Mosca. L’obiettivo di queste riunioni era quello di informare, convincere e modellare l’analisi prodotta dall’élite della politica estera di questa città”. Inizia così un articolo di Julia Ioffe sul sito Pucknews che suggerisce come si forma la narrazione mediatica.

Non c’è una vera strategia per l’Ucraina

Ma è più importante il seguito dell’articolo, nel quale la cronista afferma di aver interpellato i partecipanti a questi incontri e di aver chiesto loro un giudizio sulle iniziative dell’amministrazione Usa, ricavandone risposte entusiastiche.

“Ma non appena siamo usciti fuori dal registro ordinario – annota la Ioffe – o abbiamo parlato più in confidenza, la verità ha iniziato a scorrere come un fiume in piena”.

“Si scopre così che l’establishment della politica estera di Washington è sempre più frustrato dalla politica dell’amministrazione Biden sull’Ucraina. Che cos’è, esattamente [questa politica]? Da un lato, l’amministrazione è stata coerente nella sua linea: l’Ucraina deve vincere, niente sull’Ucraina senza l’Ucraina, il conflitto non deve trasformarsi in una terza guerra mondiale e dobbiamo difendere e rafforzare il sistema basato sulle regole (progettato dagli americani) e l’ordine internazionale”.

“Ma cosa significa veramente tutto ciò? Che forma ha vincere in Ucraina? Siamo d’accordo con l’Ucraina sul fatto che ciò significhi ripristinare i suoi confini del 1991? Se sosteniamo ‘niente sull’Ucraina senza l’Ucraina’, allora cosa voleva dire Antony Blinken […] quando disse che la Crimea era una linea rossa per Putin e quindi anche per l’America?”

“Il nostro concetto di vittoria è diverso da quello degli ucraini? E cosa significa [aiutare] ‘finché sarà necessario’ nel contesto della fornitura all’Ucraina di sistemi d’arma sempre più sofisticati, come l’ATACMS, o in relazione alla diminuzione delle scorte di armi negli Stati Uniti e in Europa?”

E peggio: “Se hanno una strategia, non l’hanno condivisa con noi”, si è lamentato un esperto su questi incontri con i funzionari dell’amministrazione”.

“Nelle ultime settimane, però, sembra che almeno parte di questa politica sia diventata un po’ meno fumosa. Ciò può essere articolato, essenzialmente, in questo modo: aspettiamo e vediamo come va la controffensiva primaverile dell’Ucraina, e poi valuteremo la situazione”.

Le guerre del caos

Benché l’articolo sia apparso su un sito alquanto ignoto, la Ioffe, non è una quisling qualsiasi, avendo scritto per importanti media Usa. Da cui l’interesse per la sua nota, dalla quale apprendiamo che il sostegno a Kiev è più che fumoso.

Nulla di nuovo, basta ripercorrere gli altri interventi Usa, a iniziare dall’invasione irachena, che non solo ha portato morte e distruzione nell’immediato, ma anche un caos duraturo, perché si era programmato solo l’intervento.

Come il caos permanente è rimasto a dilaniare la Libia. E così la Siria, che ancora oggi vede un terzo del Paese occupato dagli americani e un susseguirsi di spinte destabilizzanti.

Per non parlare della guerra afghana, con l’America che ha supportato il governo fantoccio locale per vent’anni, pur sapendo che la guerra era persa, solo perché non voleva ledere la propria immagine internazionale ritirandosi né scontentare l’apparato militar industriale che stava lucrando sull’invasione.

L’inutilità di quest’ultima guerra è stata disvelata anche da un’inchiesta del Washington Post, prodromica al ritiro. Se abbiamo terminato la carrellata con questo conflitto è perché quanto avvenuto in Afghanistan sembra si stia ripetendo in Ucraina.

Anche qui l’amministrazione Usa sostiene un governo che non esisterebbe senza il suo appoggio e sa che l’Ucraina non può vincere la guerra, cioè non può rigettare i russi oltreconfine. E non può ritirare il suo sostegno a Kiev, dal momento che sconfesserebbe se stessa e scontenterebbe il potente apparato militar industriale, che sta incassando miliardi di dollari.

Ironia della sorte: avevano detto che l’Ucraina sarebbe stato per Mosca un nuovo Afghanistan, mentre sta diventando tale per gli Stati Uniti… Tant’é.

Il piano di pace di Pechino e la vittoria di Kiev a Bakhmut secondo il Nyt

Quanto al conflitto, sembra purtroppo vero quel che spiega la Ioffe, cioè che occorre attendere la controffensiva messianica, sempre se ci sarà. Ma anche questa dilazione appartiene alla cassetta degli attrezzi dei neocon, che hanno prolungato il conflitto afghano di dilazione in dilazione.

Detto questo, qualcuno sta ancora tentando il negoziato. Lo testimonia il viaggio a Pechino di Macron e Ursula von der Leyen, che, come recita il titolo di Le Monde, avrebbe la pace in Ucraina come orizzonte. Servirebbe, cioè, a tenere in vita il cosiddetto piano di pace elaborato da Pechino, che avrebbe dovuto attecchire, nell’idea di tanti, anche europei, durante la visita di Xi in Russia (vedi Piccolenote).

A riprova che c’erano aspettative in tal senso anche l’appello al cessate il fuoco del presidente bielorusso Lukashenko, che certo ha parlato anche a nome di Putin e che non avrebbe lanciato tale proposta pubblicamente se non sapesse che ad ascoltarlo c’erano orecchie interessate: Così che anche tale appello sembra più una richiesta a non lasciar cadere quanto si era concretizzato, nel segreto, durante la visita di Xi a Mosca.

C’è insomma, un lavorio di sottofondo per porre fine alle ostilità, come dimostra anche l’intervista di Zelenky all’Associated Press, nella quale il presidente ucraino si è detto preoccupato per l’esito della battaglia di Bakhmut.

Se l’Ucraina perdesse la città, ha confidato, “la nostra società si sentirà stanca […] mi spingerà a scendere a compromessi” (da cui si deduce che nella leadership ucraina non tutti sono in sintonia con il suo massimalismo, come abbiamo annotato anche nella nota succitata).

Tale dichiarazione deve esser suonata come un campanello d’allarme per i fautori della guerra a oltranza, tanto che il giorno dopo il New York Times, che fino al giorno precedente aveva pubblicato reportage da Bakhmut più che scettici sulla tenuta della città, ha pubblicato un articolo nel quale si leggeva che Bakhmut ormai è salva, l’offensiva russa si sta esaurendo etc. Altra dilazione, anche se sul piano mediatico, la realtà potrebbe rivelarsi tutt’altra.

Spinte e controspinte. Rimaniamo in attesa.

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