Mentre sul fronte interno si respira un clima da guerra civile e di sospensione dei diritti individuali, a Washington si trova comunque il tempo di coltivare i bei ricordi della potenza imperiale impegnata a controllare ogni stormir di foglia nel "cortile di casa" (America centrale e Caraibi). E le preoccupazioni aumentano se ad allungare le mani è la Cina, la vera rivale strategica in questa fase di cambiamento dei rapporti di forza nel quadro globale.
Mentre prosegue la guerra tra Nato/Ue e Russia in Ucraina e si approfondisce la soluzione fisica del popolo palestinese, a Pechino si continua, seppur in sordina, a tessere la tela della Belt and Road Initiative (Nuova via della Seta). Questa volta a creare timori è l'accordo tra Cina popolare e Honduras che prevede, oltre alla prima apertura di un Istituto Confucio alla Francisco Morazan National Pedagogical University of Honduras, una larga e approfondita collaborazione tra la Power China e la compagnia elettrica nazionale del Paese centroamericano (Empresa National de Energia (ENEE) a sostegno dell'espansione della rete elettrica su tutto il territorio, comprendente linee di trasmissione per 176 km, cinque sottostazioni e riguardante anche il ramo idroelettrico.
Insomma, di fronte ad un progetto - uno dei tanti - che sostiene l'uscita dal sottosviluppo di un Paese appartenente al Sud del Mondo, come si risponde a Washington? Con le dichiarazioni di Rick Crawford, presidente della Commissione permanente per l'intelligence alla Camera dei Rappresentanti, secondo il quale il Partito comunista cinese (Pcc) in un solo giorno ha affondato "gli artigli nella rete elettrica e nel sistema educativo dell'Honduras". Quella contro simili manovre del Pcc viene definita dall'influente deputato come una "lotta per la sicurezza e la prosperità del nostro vicinato nell'emisfero occidentale"[1].
In altri tempi queste parole sarebbe state interpretate come preparazione all'ennesimo colpo di stato, come minaccia al governo progressista guidato da Xiomara Castro, moglie dell'ex presidente Manuel Zelaya, già vittima di un golpe militare nel 2009.
[1] La dichiarazione è presente online all'indirizzo https://intelligence.house.gov/news/documentsingle.aspx?DocumentID=1542
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