di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Mentre in Medio Oriente e in Ucraina infuriano le battaglie, sui tavoli degli strateghi, degli economisti, dei diplomatici e dei tecnologi si inizia a progettare quella che sarà la probabile guerra (da vedere se calda o fredda) in Estremo Oriente tra quella che è la potenza egemone degli ultimi quaranta anni, gli Stati Uniti e quella che è la potenza emergente in grado di lanciare il guanto di sfida per l'egemonia globale, la Cina Popolare.
Come abbiamo più volte rilevato, il motivo di scontro trae origine da questioni economiche. La Cina, dopo la caduta del Muro di Berlino è diventata la fabbrica del mondo, sfruttando un costo della manodopera incredibilmente competitivo e dove altri costi, come per esempio quelli per la tutela dell'ambiente, sono stati sostanzialmente nulli per lungo tempo. Questi fattori chiave hanno attratto nel Celeste Impero capitali da tutto il mondo sviluppato consentendo al paese una rapidissima crescita ed uscita dal sottosviluppo. Da notare peraltro, che la Cina Popolare non si è limitata ad assemblare prodotti da altri progettati, ma è – grazie ad una oculata politica sulla innovazione – riuscita a diventare una potenza tecnologica con i suoi campioni nazionali in grado di sfidare i colossi americani e (i pochissimi) colossi europei.
Questi sviluppi in materia di commercio internazionale, non solo hanno portato un eccellente livello di sviluppo alla Cina e soprattutto un reddito e una qualità media della vita di alto livello al suo popolo, ma hanno consentito al sistema paese di accumulare ingenti capitali che, investiti in USA, sono addirittura fondamentali per mantenere l'equilibrio del sistema finanziario e monetario americano. Infatti l'enorme saldo positivo delle partite correnti (e dunque anche il suo cumulo, il NIIP) sono in buona parte reinvestiti nel sistema finanziario statunitense garantendone l'equilibrio e in larga misura anche la costante crescita di Wall Street.
Una situazione questa che non poteva durare in eterno; mano mano che gli USA diventavano non solo dipendenti dal punto di vista produttivo della Cina ma anche suoi debitori per cifre astronomiche, aumentava anche l'influenza di Pechino nel mondo. Influenza che con il tempo è diventata inevitabilmente aperta sfida anche dal punto di vista monetario, con il progetto (per il vero ancora nebuloso) di superamento del dollaro come moneta di riserva mondiale.
E' chiaro che questa situazione è diventata con il tempo inaccettabile per Washington che già durante la presidenza Trump ha tentato di arginare lo strapotere di Pechino in ambito commerciale e finanziario anche con l'imposizione di dazi sull'import oltre che con le pressioni diplomatiche.
La situazione non è di certo migliorata con l'avvento dell'Amministrazione Biden, infatti la situazione dei conti con l'estero e il crollo della competitività americana è continuata a peggiorare costringendo Washington ad aumentare le pressioni su Pechino. Rimarchevole a questo proposito è stata la visita in Cina della primavera scorsa, quando la Segretaria al Tesoro Janet Yellen che accusò apertamente gli interlocutori di Pechino di non voler sanare la “sovrapproduzione” cinese di beni che stava semplicemente distruggendo il tessuto produttivo degli altri paesi, naturalmente a partire dagli USA.
Il dialogo sulla sovrapproduzione cinese sta a tutt'oggi andando avanti in maniera serrata tra Pechino e Washington; infatti è di questi giorni la notizia di un prossimo incontro a brevissimo termine tra uomini dell'amministrazione Biden e i cinesi proprio per riuscire a risolvere il problema della sovracapacità produttiva cinese che sta strangolando il settore manifatturiero americano. E' chiaro però che questi tentativi sono veramente da considerarsi come l'ultima spiaggia prima dell'inizio di un conflitto diretto – auspicabilmente una nuova guerra fredda – tra le due superpotenze. Si può sostenere questo sulla base di una logica considerazione; la pretesa americana è una sorta di dictat di tipo neocoloniale al quale i cinesi ben difficilmente accetteranno di sottoporsi se non in cambio di garanzie sostanziose ed immediatamente acquisibili che però Washington non vuole, o non sembra in grado di dare. Oltretutto, va detto che Pechino sta già puntando molto sullo sviluppo di un mercato interno “a largo consumo” sia con l'evidente finalità di aumentare la qualità della vita della sua sterminata popolazione, ma anche di dare fiato al resto del mondo.
Il problema è che gli USA hanno un gap competitivo non solo con la Cina ma con buona parte del mondo, e dovrebbero sistemarsi in casa per guadagnare competitività. Il problema è che nessuna amministrazione USA sembra in grado di svolgere questo compito e, conseguentemente, a Washington pensano bene di riversare i propri problemi interni sul resto del mondo. Una cosa questa ben riuscita, per esempio, in Europa – ormai una colonia a stelle e strisce dagli anni 40 del secolo scorso – dove gli USA hanno distrutto la competitività del Vecchio Continente imponendo sanzioni rovinose contro la Russia a causa di una guerra che Washington stessa a fatto deflagrare in Ucraina: ricordate il famoso “Fuck the EU” di Victoria Nuland!
Ma una strategia questa difficilmente realizzabile in Estremo Oriente, sia perchè la Cina non è un paese vassallo pieno di basi americane e con lo stato completamente infiltrato da agenti (come accade in Europa), sia perchè Pechino può contare su alleati potenti e fedeli, oltre che sinergici e in grado di moltiplicare la stessa potenza del Celeste Impero: ci riferiamo a quella Russia che è una superpotenza militare e che ha in abbondanza le materie prime fondamentali affinché la Cina possa dispiegare tutta la sua potenza industriale e tecnologica.
Nel prossimo articolo analizzeremo il come sotto l'aspetto militare.
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