Cosa c'è di vero sull''"effetto nebbia"?

12 Novembre 2025 17:00 Fabrizio Poggi

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Nel '41, dicono, era stato solo grazie al “generale moroz”, il gelo, se i tedeschi erano stati fermati alle porte di Mosca, quando ormai i reparti avanzati della Wehrmacht osservavano, dalle colline circostanti, le cupole delle cattedrali dentro le mura del Cremlino. Oggi, dicono, è grazie al “generale tuman”, la nebbia, che le prime unità russe, approfittando dell'impossibilità ucraina di mettere in azione i droni, sarebbero penetrate nei primi insediamenti di Krasnoarmejsk (Pokrovsk) o, come verseggia in rima sciolta il signor Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera del 12 novembre, «piccoli drappelli di soldati avanzano circospetti nella bruma fitta e lattiginosa». Di questo passo, tra gelate e foschie, è da prevedere che solo grazie all'intervento del patriarca Mosè, che separerà le acque del Dnepr, i russi riusciranno prima o poi a forzare il fiume dalla “Levoberežnaja Ukraina” e spingersi fino a Kiev. Ammesso che questo sia il loro obiettivo.

Sembra proprio che, senza interventi di natura meteorologica o biblica, i russi non siano in grado di venire a capo di alcun avversario. Che nel giugno 1941, grazie a svariate condizioni e circostanze, la Wehrmacht fosse stata in grado di avanzare in territorio sovietico, in alcuni momenti, al ritmo di oltre trenta chilometri al giorno, mentre già in ottobre e inizi novembre, dopo essere stata fermata per quasi due mesi attorno a Smolensk, riusciva a malapena a portarsi avanti per cinque chilometri e poi anche 2 chilometri al giorno: questo non era dovuto ad alcun “generale gelo”. Questo avveniva grazie alla resistenza sovietica e al fatto che, ormai, come disse Gheorghij Žukov a Stalin quando questi gli chiese se l'Esercito Rosso fosse in grado di tenere Mosca, i tedeschi “ansimavano”, non avevano più forze da mandare in avanti ed era quello il momento di scatenare l'offensiva sovietica.

Oggi, a Krasnoarmejsk, quando intere compagnie di giovani coscritti ucraini si arrendono alle forze russe, quando i criminali comandi di Kiev scatenano una guerra di droni contro i propri stessi civili e massacrano chiunque, tra i reparti di mobiliati a forza, azzardi il minimo cenno di resa; quando la sacca con cui le forze russe tengono in scacco da settimane alcune decine di migliaia di soldati avversari tra Krasnoarmejsk e Mirnograd, non è “la nebbia”, di cui sproloquiano i media occidentali, a determinare il corso del conflitto, ma sono, come sempre, i rapporti di forza sul campo. Sono le condizioni per cui, quasi come fu per i tedeschi nel dicembre del '41, i reparti ucraini “ansimano” e non hanno più fiato, mentre i loro comandi fanno a gara a chi manda al macello più militari, giovani e anziani, tra quanti sono caduti nelle mani dei distretti d'arruolamento e non sono riusciti a fuggire all'estero. Col cuore infranto, anche il signor Cremonesi è costretto ad ammettere che «gli ucraini sono a corto di uomini, le trincee sono sguarnite, mancano i rimpiazzi, i soldati sono costretti a lunghi turni in prima linea in condizioni di stress estremo».

Lo stesso Zelenskij, afferma il politologo ucraino Konstantin Bondarenko, ha adottato la tattica del "Tout va très bien, Madame la Marquise", sostenendo che la situazione a Pokrovsk sia sotto controllo: un segnale rivolto non tanto agli americani, che ben conoscono la reale situazione, ma specificamente agli europei, che devono giustificare, dice Bondarenko, «in primo luogo, i loro investimenti militari e, in secondo luogo, presentare una certa immagine ai media occidentali», per motivare ai contribuenti la prosecuzione del sostegno finanziario a Kiev.

Ma, ci raccontano, sono le condizioni meteo a determinare il corso del conflitto: senza quelle, le “orde euroasiatiche” di Mosca non sarebbero in grado, di per sé, di tener testa alla tecnica combattiva, in mezzi e strategie, messa in campo dalla superiore civiltà occidentale. Sarebbe il cinismo, ci dicono, degli alti comandi russi, che manda in avanti masse intere di “mobilitati privi di preparazione” e così, «a caro prezzo di perdite ma la Russia non sembra curarsene», come santifica il signor Stefano Stefanini su La Stampa del 12 novembre, riesce in qualche modo a far fronte alle forze di Kiev, colpendo crudelmente con razzi e droni d'attacco infrastrutture e finanche edifici civili ucraini.

Ovvio che la superiore civiltà occidentale - «Sorvoliamo sulla sopravvalutazione delle capacità militari di Mosca», dice ancora con un che di saccente il signor Stefanini - in questo caso impersonata dalla “democratica Ucraina” majdanista e banderista, non ricorra in alcun modo a simili “metodi barbari” di condurre il conflitto.

Una civiltà occidentale che ampia il proprio spazio ogniqualvolta UE e NATO abbracciano confini spostati sempre più a est: in tal modo, il concetto di “Occidente” assume contorni che poco hanno a che vedere con spazi geografici, includendo invece determinazioni liberal-politiche. Per ciò stesso, anche le categorie di “democrazia” e “autoritarismo”, di cui sproloquiano gli imbonitori dei media di regime, usandole astrattamente, senza alcuna specificazione storica e sociale, spaziano per lo più per

ambiti che vedono, nei confini “valoriali” euro-atlantisti, le uniche determinazioni ammesse nel “mondo dei buoni”, mentre tutto il resto non può che finire nel diabolico “asse del male”, in quella «rete transnazionale», nella cordata guidata da «Russia, Cina, Iran, Venezuela, Corea del Nord, Bielorussia e altri», che «rifiutano la democrazia». Amen.

Anche per questo, per quei “valori” di quel “mondo dei buoni”, sentenzia di nuovo il signor Stefanini, la UE, «su cui ormai ricade il peso del sostegno all’Ucraina», oltre a far man bassa dei fondi russi congelati per finanziare i nazigolpisti, dovrebbe aprire a vantaggio di Kiev una «corsia preferenziale, assieme alla Moldova, per un’adesione rapida, pur a contenuti limitati, all’Unione europea». Perché, in ogni caso, «con o senza Pokrovsk, gli ucraini devono essere in grado di continuare a resistere alla Russia negandogli significativi guadagni di territorio e frustrandone l’obiettivo principale di sottomissione geopolitica di Kiev». Avanti dunque con la rapina ai danni dei lavoratori europei, dei pensionati; avanti coi satanici tagli ai settori pubblici più sensibili ai bisogni delle masse: tutto per la guerra dei nazigolpisti di Kiev.

Peccato, diciamo in conclusione, che quelle “orde euroasiatiche” se ne infischino di quei “confini occidentali” entro cui UE e NATO vorrebbero racchiudere la loro “civiltà” e i loro “valori” e combattano invece, molto più prosaicamente, per mettere al sicuro i propri confini, quelli veri, terrestri, cercando di cacciare al posto che meritano i nazigolpisti di Kiev e la loro destinazione di piazzaforte avanzata nella guerra che il vampiresco “mondo dei buoni”, quello che affama le masse europee per rimpinguare i profitti delle industrie di guerra, sta approntando in prima persona contro la Russia.


FONTE:

https://politnavigator.news/ssha-i-evropa-osoznali-chto-v-pokrovske-delo-idet-k-katastrofe.html

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