Dissenso, élites e "anelare alla dittatura". La risposta di Carlo Rovelli a Mattia Feltri sull'intervista pubblicata da l'AntiDiplomatico


Non è rimasta inosservata l'eccezionale intervista di Luca Busca al fisico e grande intellettuale italiano, Carlo Rovelli, pubblicata da l'AntiDiplomatico. Decine e decine le testimonianze di apprezzamento che ci sono giunte in redazione. Una qualità di contenuti e una capacità di comprensione dei fenomeni attuali che è linfa vitale nei tempi bui. Non è rimasta inosservata al punto da urtare la suscettibilità atlantica di Mattia Feltri, direttore dell'Huffington Post, che gli ha dedicato una risposta - "Una storia spaziale" - pubblicata, oltre che dal suo giornale online, anche su La Stampa.

Di seguito pubblichiamo la risposta magistrale che Carlo Rovelli ha inviato all'Huffington Post. Non bisogna fare alto che leggerla e rileggerla.

(A.B.)

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di Carlo Rovelli - Huffington Post


Caro Mattia Feltri,

ti ringrazio per il tuo commento a una mia intervista. Ti ringrazio per le parole di stima, per l’invito che rivolgi ai lettori a cercare la mia intervista online, e anche per le forti critiche: queste sono sempre buone occasione di scambi di idee. Accolgo l’invito al dialogo e provo a rispondere, in amicizia.

Giudichi “ardimentosa” l’idea, a cui accenno, che nelle nostre società le élites controllino il dissenso proprio permettendo libertà d’espressione invece che sopprimendola. L’idea non è mia. Come accennato, risale a Herbert Marcuse e alla sua critica classica ai rischi delle democrazie moderne; è un’idea abbastanza nota. L’informazione mainstream, controllata dalle élites al potere, si alza sopra la cacofonia permessa proprio dalla libertà e mantiene in questo modo la sua influenza. Tu obietti che “i giornali vendono sempre meno: il complotto fa acqua”. A me sembra che questa obiezione confonda “i giornali” con “l’informazione mainstream”. I giornali vendono sempre meno, ma l’informazione resta dominata dalle grandi reti televisive e da chi controlla internet, sia i siti più seguiti sia i social. Le televisioni, anche quelle di orientamenti politici opposti (in America per esempio CNN e Fox News, ferocemente opposte fra loro), sono entrambe controllate dalla grande ricchezza. E non è certo un caso che uno degli uomini più ricchi del mondo abbia appena comprato uno dei social più diffusi. Chi controlla televisioni, social e giornali mantiene un grande potere sull’opinione pubblica, e chi ha molta ricchezza ci tiene molto a controllare televisioni, internet, e, anche se vende meno, la carta stampata. Devo davvero ricordarti quale famiglia italiana ha voluto per decenni mantenere il controllo della Stampa, su cui ha pubblicato (oltre che su Huffpost) il tuo commento alla mia intervista? Non lo ha certo fatto per beneficenza, quella famiglia...

La tua seconda critica riguarda un passaggio che presenti come “sulle mostruosità del neoliberismo”. Immagino tu ti riferisca alla mia frase “Il risultato del neo-liberismo è stata la concentrazione attuale della ricchezza, che nelle nostre società non si vedeva dal medioevo, e quindi una disparità sociale sempre più marcata.” Non vedo in cosa questa frase ci sia qualcosa di sbagliato. È una fatto, confermato da molte statistiche, su cui concordano gli economisti. Non è un giudizio di valore, né una dichiarazione di mostruosità: per alcuni la concentrazione della ricchezza va bene, nella misura in cui contribuisce all’arricchimento generale. Anche per i cinesi, a proposito. Ma sul fatto, non credo ci siano dubbi.

Poi critichi quello che chiami “un palpitante elogio della Cina” perché scrivo che “ha sollevato da povertà e analfabetismo mezzo miliardo di persone”. Ancora una volta, questa non è un’opinione, è un dato di fatto. Protesti perché scrivo che chi ha ottenuto questo è «un partito comunista che pone radicalmente l’interesse comune al di sopra dei privilegi singoli». Qui non capisco bene la protesta: non è proprio questo mettere la collettività sopra gli individui il motivo per cui in occidente, dove l’individuo viene prima della collettività, c’è tanta critica alla Cina? Scrivi: “Non vorrei sembrare insolente, ma la Cina c’è riuscita [a sollevare da povertà e analfabetismo mezzo miliardo di persone] proprio grazie al capitalismo e alla globalizzazione, ovvero fenomeni nati in occidente e che hanno finito per indebolirlo consegnando ai paesi più poveri gli strumenti per arricchirsi.” Caro Feltri, perché dovresti essere insolente nel dire questo? È esattamente quello che sostengo nell’intervista, e in tanti altri scritti: la Cina ha fatto propri strumenti sociali, ideologici, tecnologici e altro, nati in Occidente e si è arricchita, come tante altre parti del mondo, imparando dall’Occidente. Che male c’è? Ci fa piacere che il resto del mondo raggiunga un po’ del benessere che abbiamo noi, o no?

In questo processo, tuttavia, come giustamente osservi, l’Occidente ha perso lo strapotere economico che aveva qualche decennio fa e quindi si è indebolito, conservando solo la supremazia militare. Questo è esattamente quanto sostengo nell’intervista. Del resto non sono solo idee mie; negli ultimi anni sono usciti molti libri che analizzano questo processo in dettaglio, mi sono limitato a riportare queste analisi. La Cina, come altri paesi, ha importato idee e aspetti della cultura occidentale, facendoli propri, ma modificandoli, adattandoli e ricombinandoli fra loro e con aspetti della cultura locale. In particolare, da Deng in poi la Cina ha trovato il modo di avere un libero mercato e un sistema economico capitalistico, come giustamente scrivi tu, dove però il potere politico mantiene per sé l’ultima parola. Il partito comunista cinese ha permesso l’accumulazione del capitale e della ricchezza individuale, ma si considera il garante dell’interesse comune contro una eccessiva presa di potere da parte delle élites economiche create da questo stesso capitale. È questa politica che ha permesso che il grande sviluppo economico della Cina degli ultimi 30 anni sia andato di pari passo con la costante ridistribuzione della ricchezza che ha permesso l’uscita dalla povertà estrema di mezzo miliardo di persone che ha stupito il mondo. Come vedi, non sono in disaccordo con quanto scrivi. Questo controllo della politica sulla ricchezza non piace alle élite economiche occidentali, ovviamente, e questa, a mio giudizio, è una delle ragioni della feroce propaganda anti-cinese, nell’informazione mainstream, controllata da queste élites. Ci sono anche altre cose che non ci piacciono della Cina di oggi, né a me né a te. Per esempio il fatto che non permetta l'espressione libera del dissenso come da noi. Ma non deve piacerci tutto quello che fanno gli altri, ovviamente. Non dobbiamo mica essere tutti eguali. Non mi sembra che qualcosa di quanto tu scrivi contraddica quello che dico nell’intervista.

Infine, chiudi con una curiosa giravolta, scrivendo “Ed è per questa debolezza [la perdita di potere relativo dell’Occidente, su cui siamo d’accordo] che molti ora detestano la democrazia e anelano alla dittatura.” Non so a chi ti riferisci, ma se volevi riferirti a me, certo qui sbagli! Non detesto per nulla la democrazia, e ancora più certamente non anelo alla dittatura! Sono geloso della democrazia del paese dove vivo. Vorrei che fosse più genuina e meno preda dell’interesse di pochi ricchi. Vorrei più democrazia, non meno. Però vorrei soprattutto più democrazia nel mondo. Perché trovo non solo miope, data la crescente debolezza dell’occidente, ma anche un po’ ipocrita, brandire la democrazia per evitare che sia più democrazia nel mondo. Pensaci un attimo: per molti “difendere la democrazia” oggi significa difendere la legittimità del residuo strapotere militare sul mondo di una sparuta minoranza di paesi e persone. Sarebbe questa la “democrazia”? Democrazia, io credo, vuol dire seguire quello che domandano la maggioranza dei cittadini del mondo, l’assemblea generale delle Nazione Unite, la corte internazionale di giustizia. Invece, in nome della “democrazia” molti difendono il declinante strapotere dell’Occidente su tutti gli altri. Anche quando alle Nazioni Unite c’è una grande maggioranza, contro un solo veto. Difendono perfino l’arrogarsi da parte di alcuni paesi del diritto di bombardare altri, come sta facendo una missione di guerra a cui partecipa anche l’Italia, in Yemen, contro il volere delle Nazioni Unite. A me questa non sembra democrazia. Il problema importante, a me sembra, non è confrontare sistemi politici locali: nel mondo i diversi popoli possono esplorare sistemi politici diversi, vedere cosa funziona, cosa va bene e cosa va male. Possiamo tutti imparare qualcosa gli uni dagli altri; la Cina ha imparato tantissimo dall’Occidente e secondo me qualcosina potremmo imparare pure noi da un paese che cresce economicamente molto più di noi, e con grande coesione sociale. Saremmo un po’ più saggi. Invece di pensare a chi domina chi, o chi è il migliore di tutti, pensiamo piuttosto come vivere insieme, come imparare gli uni dagli altri. Come collaborare, invece di massacrarci, invece di armarci fino ai denti gli uni contro gli altri, e sopratutto invece di descriverci l’un l’altro come demoni malvagi, e insultarci l’un l’altro, terrorizzati dalla nostra stessa ombra. Se tu questo lo chiami “anelare alla dittatura”, temo di non essere stato abbastanza chiaro, nella mia intervista.

Con amicizia, Carlo

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