Ecuador, il regime di Noboa reprime nel silenzio complice dell’Occidente

15 Ottobre 2025 17:07 Fabrizio Verde


di Fabrizio Verde

Mentre Quito insorge contro le politiche economiche di Daniel Noboa, la risposta del governo ecuadoriano si consuma nel più assordante silenzio dei governi occidentali e dei media mainstream. Gli stessi sempre invece pronti a condannare con forza e con motivazioni false o inventate quei governi non proni all’imperialismo come quelli di Venezuela, Cuba e Nicaragua. Lo sciopero nazionale, promosso dalle organizzazioni indigene e sociali e ormai entrato nel suo ventitreesimo giorno, incontra non il dialogo, ma una repressione militarizzata che ha già lasciato sul campo morti, feriti gravi e centinaia di arresti.

La matrice neoliberista delle misure volute da Noboa – a cominciare dall’abolizione dei sussidi al diesel con il Decreto 126 – è la scintilla che ha dato fuoco alla protesta. Ma è la scelta di criminalizzare il dissenso, attraverso la dichiarazione di un “Conflitto Armato Interno” e l’impiego indiscriminato delle forze armate, a trasformare le piazze in un campo di battaglia.

Le vittime accertate svelano una brutalità sistematica e voluta. Rosa Elena Paqui Seraquive, anziana del popolo Kichwa Saraguro, è morta per asfissia dopo l’inalazione di gas lacrimogeni lanciati in maniera massiccia contro le comunità. Efraín Fuerez, leader indigeno, è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco esplosi dai militari. E poi c’è la drammatica lotta per la vita di José Alberto Guamán Izama, un agricoltore di 30 anni dato per morto dopo un colpo di arma da fuoco, miracolosamente rianimato dopo cinque minuti di morte clinica, ma ancora in bilico tra la vita e la morte.

La Confederazione delle Nazionalità Indigene dell'Ecuador (Conaie) accusa senza mezzi termini il governo: “Ha convertito le nostre comunità in zone di guerra, utilizzando gas, proiettili e violenza indiscriminata contro un popolo che esercita il suo diritto costituzionale alla protesta”.

Tuttavia, questa deriva autoritaria non sembra scalfire il consenso internazionale di cui gode l’esecutivo di Noboa. Il silenzio imbarazzante di Unione Europea e Stati Uniti sulle violazioni dei diritti umani è molro ‘rumoroso’. La ragione è palese: il regime di Noboa, sebbene con i metodi di un “narcostato” che lui stesso ha contribuito a creare, applica con zelo il vangelo neoliberista imposto dal Fondo Monetario Internazionale e dalle élite finanziarie globali.

La sua guerra ai movimenti sociali è funzionale agli interessi dell’imperialismo economico. Smantellare i sussidi, aprire le riserve naturali – incluso l’inestimabile arcipelago delle Galápagos – allo sfruttamento minerario e petrolifero, significa consegnare le ricchezze del paese al capitale straniero. In questa cornice, la repressione diventa uno strumento di garanzia per gli investitori. I lacrimogeni e i proiettili che colpiscono gli indigeni e i contadini non sono che il lato oscuro e necessario di un 'aggiustamento strutturale' - da intendere come austerità neoliberista - che non ammette resistenze.

Mentre l’Ecuador piange i suoi morti, la comunità internazionale guarda altrove. Perché il regime di Noboa, nella sua crudeltà, sta portando a termine un compito preciso: disciplinare un intero popolo per renderlo docile alle esigenze del mercato globale. E per questo, a Washington e Bruxelles, si è disposti a chiudere un occhio, o forse due, su qualche “eccesso” di repressione.

Daniel Noboa sarà candidato al prossimo Nobel per la Pace? Dopo la vittoria della golpista venezuelana Machado tutto è possibile.

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