Egemonia (9). Il genocidio a Gaza e il collasso della propaganda occidentale - Patrick Lawrence


di Alessandro Bianchi


Assistiamo ad un cambiamento reale della propaganda occidentale nel racconto delle barbarie a Gaza? C’è uno scontro vero nell’oligarchia statunitense al potere sul come relazionarsi con l’alleato israeliano? E se sì, perché adesso?

Queste sono le domande principali che abbiamo rivolto, per "Egemonia", ad un grande giornalista statunitense, un maestro, Patrick Lawrence – scrittore, inviato per molti anni all'estero principalmente con l'International Herald Tribune ed oggi uno dei massimi conoscitori e svelatori della propaganda occidentale. In un recente articolo su Scheer Post, Lawrence ha illustrato magistralmente il fallimento etico dentro il principale quotidiano statunitense, il New York Times, dove si è prodotta una spaccatura che esemplifica molto bene la frattura morale dell’occidente. “Israele ha osato e ha chiesto qualcosa che ora non è più tollerabile”. La pulizia etnica e le sofferenze indicibili prodotte dallo stato ormai “paria” – lo ribadisce più volte Lawrence nella sua analisi - non può essere più nascosto e sta producendo un cambio di percezione reale. Avvertibile anche in colonia Italia, gli facciamo presente, con articoli di diverso tenore da parte di Repubblica e con il PD che ora ha la “libertà” di presentare una mozione in cui si accorge di 75 anni di massacri.

Il via libera, lo comprendiamo bene nel confronto con Lawrence, è partito dal dibattito che sta nascendo negli Stati Uniti. “Il sostegno alle brutalità quotidiane degli israeliani sta facendo letteralmente a pezzi il mio paese”, sostiene il grande giornalista statunitense, secondo il quale gli storici quando dovranno scrivere “la fase finale dell’impero statunitense vedranno nella crisi di Gaza un ruolo chiave”.

Abbiamo insistito molto, per comprendere insieme a lui il cambio di passo, sul coraggio del Sudafrica, sul chiaro rifiuto della comunità internazionale (meno l’occidente) a chiudere gli occhi sulle barbarie israeliane e abbiamo trovato conferma sul ruolo decisivo avuto dalla decisione del tribunale dell'Aia nel fare implodere definitivamente gli Stati Uniti (e quindi i suoi vassalli). “Dopo Gaza e dopo quella decisione, ora è improbabile che l'Israele dell'apartheid recuperi il posto nella comunità delle nazioni. Ora è tra i paria.”

I veri sconfitti, su questo Lawrence non ha dubbi, sono i media occidentali. Nel commentare il suo lungo reportage su Scheer Post in cui analizza lo scontro enorme all’interno del New York Times - da cui, questo lo aggiungiamo noi, deriva anche la differente percezione in Italia della vicenda - il giornalista ci ricorda come dopo il 7 ottobre il NYT ha subito rivestito il ruolo di apologeta di Israele. “L'intento genocida di Israele era volutamente nascosto e la distruzione di Gaza non veniva mai descritta come sistematica. L'IDF non prendeva di mira i civili”. Come fonti e “prove” venivano prese come dati di fatto le dichiarazioni dei funzionari e dei militari israeliani senza mai che venissero messe in dubbio. “Prendete ad esempio l’articolo del 22 gennaio del NYT di David Leonhardt dal titolo "Il declino delle morti a Gaza" che vuole dimostrare (su fonti israeliane!) che le morti civili palestinesi si siano dimezzate dal mese precedente. Come se 150 morti invece che di 300 al giorno non sia un massacro!”.

L’operazione dei media occidentali che Lawrence analizza alla perfezione è stata quella di far credere che la storia abbia avuto inizio il 7 ottobre. Ci domanda: “Avete per caso letto la storia palestinese sui media italiani? Perché nei media statunitensi non è esistita”. Silenzio.

Il punto di non ritorno, Lawrence non ha dubbi, è stato il lavoro di Jeffrey Gettleman sui presunti stupri “come arma di terrore” da parte delle milizie di Hamas. “Ha infangato il nome del New York Times” e messo “in subbuglio il principale giornale statunitense”. “Tutte le affermazioni di quell’articolo che ha purtroppo fatto il giro del mondo e arrivato come mi dici anche nel vostro paese si basavano su illazioni ridicole, senza nessuna prova. Testimonianze inconsistenti e video che non dimostrano nulla. Fino al tonfo - prosegue Lawrence - della ‘donna con il vestito nero’, in riferimento a un cadavere trovato e filmato sul ciglio di una strada l'8 ottobre. Gli ultimi messaggi della donna smentiscono la ricostruzione del giornalista del New York Times, che ha subito anche gli attacchi della famiglia della donna di nome Abdush, che lo ha accusato di aver distorto le prove e di averle manipolate nel corso del suo reportage. “Blumenthal e Aaron Maté su The Grayzone, hanno iniziato a esaminare i servizi del Times sulle presunte violenze sessuali subito dopo la pubblicazione del primo articolo di Gettleman, il 4 dicembre. Vi invito a leggere il loro lavoro esaustivo. Non c’è veramente null’altro da aggiungere”.

Da quel reportage il giornale è esploso ed ha iniziato a cambiare rotta. “Il merito di Jeffery Gettleman è stato quello di aver alzato il velo di Maya di tutto il mainstream. CNN, The Guardian, MSNBC, PBS e altri ancora: tutti avevano seguito la stessa procedura riproducendo la storia dell'abuso sessuale sistematico così come gli israeliani l'hanno fornita.” Facciamo presente che anche i vari media italiani avevano fatto lo stesso.

Il merito di Gettleman è stato, dunque, quello di aver aperto uno squarcio e, sottolinea Lawrence, da allora il NYT ha iniziato a pubblicare reportage sulle barbarie dei coloni in Cisgiordania e addirittura i video “dei soldati israeliani: Che incitano alla distruzione e deridono i gazesi". Perché ora? Gli domandiamo. Non ha risposte certe Lawrence, ma un riferimento storico illuminante indica il sentiero da seguire. “Come per il Vietnam, il Times iniziò a scrivere dei massacri nel sudest asiatico quando le oligarchie politiche di Washington iniziarono a dividersi. L'atmosfera a Washington sta cambiando. C'è una frattura a Capitol Hill che diventa sempre più evidente”.

Prima dell’inizio di una campagna elettorale negli Stati Uniti che vedrà inevitabilmente il genocidio a Gaza come uno dei temi di riferimento, l’atmosfera a Washington sta cambiando e si aprono spazi anche in Colonia Italia. Si spiegano così alcuni articoli più neutri di Repubblica, le prese di posizione del Pd e una differente percezione nel mainstream della questione. Perché, come spiega Lawrence, Israele ha chiesto ai suoi propagandisti qualcosa che non poteva essere accettato per un periodo lungo: mettere da parte il minimo senso del pudore etico e di umanità. Il regime israeliano ha rischiato e perso, mettendo l'occidente dinanzi ad un bivio tremendo della sua storia. Tutto questo è stato possibile grazie al coraggio del Sudafrica e di tutta la comunità internazionale, quella vera, che non si è mai piegata alle barbarie e alle tentate imposizioni. E la propaganda occidentale ne esce, nuovamente, sconfitta.

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