"Egemonia" (1). I responsabili del massacro a Gaza: quale ruolo per la diplomazia e il diritto internazionale? - Alberto Bradanini

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"Egemonia" (1).  I responsabili del massacro a Gaza: quale ruolo per la diplomazia e il diritto internazionale? - Alberto Bradanini


di Alessandro Bianchi

"È di tutta evidenza che il conflitto tra palestinesi (non solo Hamas, dunque) e Israele non nasca il 7 ottobre 2023, ma nel 1948. Esso assume nel tempo diverse forme: due guerre, due intifade e una lunga serie di atti di oppressione e violenza il cui elenco riempirebbe biblioteche intere." Per il primo episodio di "Egemonia", abbiamo affrontato una lunga e ricca conversazione con Alberto Bradanini, ex ambasciatore d’Italia a Teheran e Pechino, profondo conoscitore di Medio Oriente e di Cina. 

Come affrontare la questione palestinese nel modo corretto? Quali le radici del conflitto? E' possibile una mediazione da parte di Pechino, alla luce del fallimento e delle responsabilità dell’Occidente a guida Usa?

Sul conflitto in corso, Bradanini ha pochi dubbi. Dalla prigione a cielo aperto di Gaza è partito un commando che ha commesso atti di terrorismo. "Le condizioni di vita di una popolazione di 2,3 milioni di persone e la messa in un angolo da parte della cosiddetta “comunità internazionale” della prospettiva di una patria per i palestinesi costituiscono le radici strutturali dell’esplosione di violenza da parte di Hamas". Al terrorismo di Hamas del 7 ottobre ha fatto riscontro il terrorismo di stato di Israele che dura tuttora, una reazione del tutto sproporzionata che colpisce civili innocenti (al 5 dicembre 2023, 15,899 vittime palestinesi, di cui almeno 4.000 bambini) contro 1200 israeliani, "numero che comprende quelli colpiti dai soldati israeliani che da qualche tempo hanno la consegna di impedire la presa di ostaggi". 

In questa circostanza, la condotta dello Stato Ebraico, in apparenza colto di sorpresa dall’attacco di Hamas ("ma sarà poi vero?"), si è ispirata al primitivo sentimento di vendetta contro tutto un popolo (quello di Gaza, ma anche di Cisgiordania), giudicato colpevole di appoggiare Hamas. "Ma l’occasione è sfruttata da Israele anche ad altri fini, cacciare i palestinesi da Gaza e acquisirne le terre, poiché la sua strategia è stata ed è tuttora la stessa, la creazione della Grande Israele, dal Giordano al Mediterraneo".

Distruggendo le infrastrutture di una collettività di 2,3 milioni di abitanti - comprese scuole, uffici pubblici, ospedali, attività ricreative, strade, acquedotti e via dicendo – Israele, sottolinea Bradanini più volte, compie atti terroristici veri e propri. "Non esiste nel diritto internazionale una nozione condivisa di terrorismo di stato (ben più efficace di quello di qualsiasi organizzazione militante)", ricorda l’Ambasciatore, perché, quando si è tentato di approntare una Convenzione sul tema “Stati Uniti e Israele si sono sempre opposti, e le ragioni sono immaginabili. Israele pagherebbe per i crimini che ogni giorno commette a Gaza solo se la Corte Penale Internazionale (CPI) non fosse nelle mani dell'Occidente a guida americana. In un mondo diverso la CPI avrebbe da tempo emesso mandati di cattura nei confronti dei governi (non solo questo) che si sono susseguiti in Israele negli ultimi decenni, oltre che nei riguardi della leadership di Hamas. Un evento del genere, inoltre, darebbe una spinta formidabile alla soluzione politica della questione, verso la creazione di una patria dove i palestinesi possano vivere e prosperare fuori da Israele, una terra dove essi sono asserviti a uno status di apartheid”.

Ma come si può immaginare di aprire un percorso negoziale che porti a tale risultato, interrompendo il massacro del popolo palestinese? Chi dispone oggi di sufficiente credibilità e autorevolezza per avviare israeliani e palestinesi in quella direzione?  La premessa di Bradanini è chiara. “La pace non è nell’agenda di Israele che fa un calcolo diverso: liberarsi di tutti i palestinesi e impadronirsi di tutta la terra che ancora non occupa. Vedremo nelle prossime settimane o mesi, ma l'obiettivo appare chiaro, spingere i palestinesi verso l’Egitto o altrove, ma comunque fuori dalla Palestina. Invero, le ragioni per le quali l’Egitto non apre le frontiere sono essenzialmente due. L’instabilità politico-sociale che si porterebbe in patria e la reazione del mondo arabo – mussulmano, che lo riterrebbe un traditore della sacrosanta causa palestinese. Certo, le pressioni degli Stati Uniti, ai quali al-Sisi deve il colpo di stato, sono forti. Vedremo”. 

In definitiva, pulizia etnica e colonialismo possono continuare nella sostanziale impunità e copertura assicurata dalla superpotenza Usa e della macchina mediatica della menzogna. “E' del resto evidente che Israele può fare tutto ciò perché ha sempre e in ogni circostanza il sostegno politico e militare degli Stati Uniti, per i quali Israele non è tanto e solo un problema di politica estera, quanto di politica interna. Nessuno in America può immaginare di venir eletto al Congresso o al Senato, tantomeno candidato alla Casa Bianca, se ha contro le lobby americane pro-israeliane, potenti e ben organizzate intorno all’American Israeli Public Affairs Committee (AIPAC). Le lobby pro-israeliane, infatti, controllano gran parte del sistema mediatico (negli Usa e dunque quasi ovunque) e molte potenti corporazioni finanziarie e industriali di Wall Street e della City”.

Non ci sono mai stati nella storia, ci sottolinea Bradanini, due paesi così fortemente integrati tra di loro come attualmente Israele e gli Stati Uniti. “Israele si può considerare il cinquantunesimo Stato degli Stati Uniti d'America.” In questo quadro è impensabile che gli Stati Uniti possano svolgere un ruolo mediatore nella questione palestinese, perché i palestinesi hanno perso ogni residuo di fiducia in un ruolo di terzietà degli Usa. “Questi alla fine si schierano comunque dalla parte di Israele”.

Secondo alcune analisi, invece, il paese che potrebbe (dovrebbe?) avviare tale ipotetico tavolo negoziale sarebbe la Cina. Il tema tuttavia è mal posto, secondo Bradanini. “Deve infatti rilevarsi che la Cina ha una minima proiezione militare esterna, e per la soluzione di questioni di tal genere ciò è di cruciale rilevanza. Gli Stati Uniti hanno come noto oltre 800 basi militari in tante parti del mondo, compreso il Medio Oriente. Inoltre, la loro Marina militare, armata di ogni ordigno immaginabile, naviga pressoché ovunque sul pianeta terra.” La Cina, pur essendo una grande potenza economica, resta una media potenza militare, e possiede solo una base all'estero, a Gibuti, “dove ce l'ha persino l'Italia!” In funzione di contrasto alla pirateria somala.

Ora, nonostante l’indubbio successo diplomatico di aver riavvicinato Riad e Teheran, per l’Ambasciatore non sussistono le premesse per replicare tale successo tra Israele e Palestina. “Non basta invitare le due parti ad una cena con un'ottima bottiglia di vino, la mediazione chiede lo stacco di un assegno per spingere le due parti a trovare un compromesso.” Sul mondo arabo-mussulmano-palestinese, la Cina potrebbe far sentire la sua influenza in vari modi (anche se una parte del mondo arabo è legata agli interessi americani), ma di certo Pechino non avrebbe alcuna presa su Israele, che basa la sua forza sulla manipolazione del sistema politico, mediatico e corporativo americano. "Se dietro Israele, in buona sostanza, vi sono gli Stati Uniti, è impensabile che la Cina possa mediare tra due parti, delle quale una è sostenuta dalla più grande potenza militare ed economica del pianeta. La superpotenza egemonica unipolare mai accetterebbe un ruolo subalterno, che per di più accrediterebbe la Cina come una grande potenza planetaria e finanche con l’etichetta pacifista”.

"Ancora oggi ahimè - forse per poco storicamente parlando - in Palestina (oltre che in Ucraina) sono gli Stati Uniti, con il loro armamentario imperiale, a disporre della chiave di volta. A Gaza, dunque, insieme a Israele, devono ritenersi responsabili anche loro dei massacri di migliaia di persone innocenti, donne e bambini inclusi." Davanti a una condotta così efferata i politici di questi paesi volgono invece lo sguardo altrove, disumanamente. Ma prima o poi , conclude Bradanini, la storia si vendicherà. "H. Kissinger affermava che “essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, ma essere amici degli Stati Uniti è fatale”. Forse, anche per Israele potrebbe essere iniziata la china discendente (se si tace in momento, si sentono già i primi cedimenti sotto piedi). Le vicende della storia si vanno intrecciando in un modo imprevedibile. Chi vive in Israele non dorme più sonni tranquilli."

 

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