Erosione del potere di acquisto: andiamo oltre le statistiche Istat

di Federico Giusti

Da una recente pubblicazione Istat, sul finire dell'estate 2025, erano solo 46 i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica pari a poco meno del 60% del totale dei dipendenti il che dimostra come numeri straordinari di lavoratori subordinati attendano il rinnovo dei CCNL e l'adeguamento economico dei salari. Bisogna ricordare che solo parte dei contratti della PA sono stati sottoscritti con aumenti pari a un solo terzo dell'aumento del costo della vita.
I ritardi sono facilmente spiegabili con quella miseria della indennità di vacanza contrattuale che non rappresenta certo un deterrente per il ritardo dei rinnovi, basti pensare che in un solo anno i tempi di attesa sono passati da 18,3 a 27,9 mesi; per il totale dei dipendenti da 9,6 a 12mesi.
Se la indennità ammontasse a 60 euro netti mensili in busta paga per il primo anno, 120 euro per il secondo e 240 per il terzo, se queste cifre non fossero parte degli aumenti contrattuali ma una sorta di compensazione del mancato rinnovo, probabilmente i tempi di attesa sarebbero assai inferiori agli attuali ma per un ragionamento del genere dovremmo mettere in discussione gli accordi, sottoscritti anche dalla Cgil anni or sono.
L'indennità di vacanza contrattuale (IVC) è un compenso provvisorio a sostegno del reddito minacciato dalla inflazione. Davanti all'aumento del costo della vita non esiste alcun meccanismo automatico a salvaguardia del salario, dal 1° aprile 2025 al 30 giugno 2025, l'import stabilito è lo 0,6 per cento dello stipendio tabellare per passare all'1 per cento dal 1 luglio dello stesso anno. Se l'importo fosse moltiplicato per cinque i ritardi sarebbero assai inferiori, se poi la somma non venisse assorbita dagli stanziamenti previsti nel rinnovo del contratto, la situazione cambierebbe e a favore della forza lavoro lasciando ben pochi spazi alle associazioni datoriali e all'Aran.
La retribuzione oraria media nei primi 9 mesi è cresciuta del 3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, se vediamo il reale costo della vita siamo al di sotto di cifre che permetterebbero di salvaguardare il potere di acquisto e prova ne sia che le retribuzioni contrattuali orarie crescono solo del 2,6% in ben 12 mesi. Ironia della sorte questi dati includono due settori nei quali gli aumenti sembrano più elevati, ad esempio i ministeri e il settore della difesa. Nell'arco di un anno la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali ha subito un forte rallentamento al pari del settore industriale. Le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8% ai livelli di gennaio 2021.
Dove sta allora il recupero del potere di acquisto?

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