Genocidi visibili e genocidi invisibili

di Alessandra Ciattini - Futura Società

Vi sono vari modi di perpetrare genocidi: il più eclatante è determinato dalla guerra e da tutte le azioni che l’accompagnano come nel caso della distruzione con tutti i mezzi del popolo palestinese. Ma vi è anche un altro modo più subdolo, i cui effetti spesso restano nell’ombra o vengono occultati. Si tratta delle sanzioni, un atto del tutto illegittimo, con cui si le potenze occidentali colpiscono i paesi più deboli allo scopo di sottometterli ai loro diktat, provocando milioni di morti, senza suscitare quello scandalo e indignazione invece suscitati dalle guerre.

Dopo aver sperimentato sotto i nostri occhi impotenti il drammatico genocidio dei palestinesi, non ancora terminato, che taluni tacciono o arrampicandosi sugli specchi negano, forse è giunto il momento di tentare di stabilire quale è stato finora il regime più sanguinario della storia moderna, tenendo in conto le varie modalità non sempre visibili con cui questo ha liquidato popoli inermi e intere generazioni. Certo è tragico-comico udire personaggi, come il secolare monopolista della storia alla Rai, Paolo Mieli, e la filosofa Donatella Di Cesare, studiosa del ben noto Heidegger ed esponente della “sinistra compatibile”, che parlare di genocidio nel caso dei Palestinesi alimenterebbe solo sentimenti di odio ben presenti nel comportamento dell’Idf. Evidentemente non sanno, o fanno finta di non sapere che il diritto nazionale o internazionale si basa sulla classificazione dei comportamenti in base alla quale individua una colpa e la pena relativa; pertanto, non si preoccupa minimamente delle reazioni soggettive che tale identificazione può comportare. Un furto è un furto, un genocidio è un genocidio, uno stupro è uno stupro con buona pace di chi ipocritamente cerca di cavillare in nome di non so quali interessi o di un penoso abbaglio ideologico.

Partiamo da un primo dato ricordato tempo a dietro da Manlio Dinucci sul Manifesto. Secondo un documentato studio di James A. Lucas, presentato da M. Chossudovsky su Global Research, relativo al numero di persone uccise dalla ininterrotta serie di guerre, colpi di stato e altre operazioni sovversive effettuata dagli Stati uniti dalla fine della guerra nel 1945 ad oggi risulterebbe che esso ammonta a 20-30 milioni. Si tratta circa del doppio dei morti provocati dalla Prima guerra mondiale e comprende in maggioranza civili. Se poi a questo numero aggiungiamo i feriti, i mutilati, i morti provocati dalle conseguenze dei conflitti (carestie, epidemie, migrazioni forzate etc.) finiamo col parlare di centinaia di migliaia di individui che hanno perso la vita a causa di azioni, il cui unico scopo era di accrescere e di mantenere il potere non di un paese, ma di una classe dirigente sempre più transazionale scaturita da un sistema socio-economico distruttivo e mortifero.

Sostanzialmente non si tratta di temi nuovi. Basti pensare ai due libri fanta-politici di Susan George, presidente del Transnational Institute, Rapporto Lugano I e II, i quali mettono in evidenza la crisi quasi irreversibile del capitalismo globalizzato e indicano i terribili strumenti, elaborati da un inventato gruppo di esperti, per bloccarne gli effetti. Nel primo libro si descrivono i metodi, frutto della razionalità capitalistica, effettivamente utilizzati per annientare milioni di esseri umani, esclusi dai circuiti economici, che costituiscono solo un peso per l’attuale sistema, ossia conflitti, guerre, sanzioni, spoliazioni etc. Nel secondo volume, invece, si spiega per quali ragioni la élite dominante ha vinto la guerra di classe scatenata negli ultimi decenni contro il 99% della popolazione mondiale, volgendola anche verso quei popoli che abitano nei paesi un tempo più sviluppati, ora in un processo di evidente declino. Del resto, l’autrice di questi due importanti libri non fa che riprendere il Rapporto Kissinger del 1974 (National Security Study Memorandum 200), con il quale si raccomandavano interventi per ridurre la fertilità nei paesi in via di sviluppo, perché la loro esplosione demografica poteva costituire un pericolo per la sicurezza nazionale e gli interessi degli Usa, i quali corrispondono a quelli delle grandi corporazioni. Queste ultime si preoccupavano che l’incremento demografico potesse generare movimenti di protesta, acuire i conflitti per le risorse, di fatto mettere in pericolo il loro dominio e proponevano ai popoli del mondo il modello della famiglia nucleare, che avrebbe assicurato meno spese per il mantenimento dei suoi membri e, pertanto, minori bisogni.

Come giustamente scrive Felix Abt, uomo d’affari svizzero che ha lavorato nella Corea del Nord e in Vietnam: ”Per decenni, i politici occidentali hanno presentato le sanzioni come un’alternativa “umana” alla forza militare. In realtà, sono armi che infliggono sofferenze di massa a persone che non hanno alcun controllo sulle azioni dei loro governi, come dimostra un nuovo, avvincente studio”. In esso si dimostra che le sanzioni statunitensi ed europee hanno provocato dal 1970 ad oggi 38 milioni di morti (molto più numerosi di quelli provocati dall’Olocausto) ed è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista The Lancet Global Health . Esse costituiscono nella loro sostanza un mezzo razionalmente studiato per obbligare le nazioni teoricamente sovrane ad inginocchiarsi dinanzi agli interessi del Nord del mondo.

Andiamo ad esaminare alcuni casi concreti. Riguardanti nazioni più piccole e con scarse risorse, che per queste loro specifiche caratteristiche sono maggiormente colpite dalle sanzioni.

In Iraq le sanzioni statunitensi hanno causato la morte di circa 500.000 bambini. Inoltre, dopo la guerra del Golfo la popolazione non ha più avuto un normale accesso all’acque potabile, all’energia elettrica ai farmaci, per cui molti ircheni sono deceduti per malnutrizione e a causa di malattie curabili. Per i funzionari delle Nazioni Unite si è trattato anche in questo caso di genocidio. In Corea del Nord le restrizioni all’importazione dei fertilizzanti, del gasolio e delle attrezzature agricole hanno causato la carestia e hanno fatto marcire il cibo nei campi. In Venezuela le sanzioni hanno fatto perdere al paese oltre 700 miliardi di dollari di PIL e in un solo anno hanno ucciso 40.000 persone private di alimenti e farmaci. A Cuba le sanzioni o meglio el bloqueo contro un paese considerato addirittura terrorista hanno provocato in più di sei decenni una perdita di due trilioni 103 miliardi e 897 milioni di dollari, e di conseguenza hanno determinato effetti disastrosi sulle condizioni di vita della popolazione, impedendole di nutrirsi e di curarsi adeguatamente.

Abt ricorda che il suo progetto di fornire elettricità tramite il gruppo Abb alle regioni più povere della Corea del Nord per migliorare le condizioni di vita della popolazione non si è realizzato a causa degli ostacoli posti dagli Usa. Anche l’azienda farmaceutica, da lui diretta in Corea del Nord, che produceva anche per l’estero, si si è trovata in grande difficoltà, perché a causa delle sanzioni statunitensi non è più riuscita a produrre farmaci di alta qualità con grave danno per coloro che ne avevano bisogno. In tutti questi casi le sanzioni sono state vincenti perché di trattava di paesi che non sono in grado di sostituire le importazioni e che non dispongono di tecnologie per rendere disponibili le loro risorse. Negli anni ’70 in media solo 15 paesi erano soggetti a sanzioni unilaterali occidentali, che erano rivolte verso interi sistemi economici, per mettere in crisi i tentativi di industrializzazione, impedire gli scambi commerciali e finanziari, creare instabilità per far cadere governi ostili.

Vediamo in concreto altri casi, per esempio quello del Cile, che fu preso di mira dal 1970 con lo scopo di far cadere il governo di progressista di Salvador Allende. Come è noto, gli Usa isolarono il paese, spezzando i suoi legami commerciali e creditizi. Il programma del presidente eletto (nazionalizzazione di imprese, come l’estrazione e la produzione del rame, la riforma agraria e sanitaria) suscitarono la forte opposizione della destra, della Chiesa cattolica, di parte del ceto medio, che sfociò nel colpo di Stato sostenuto dagli Usa e firmato da Henry Kissinger. Il costo umano dell’evento non fu solo rappresentato dal mantenimento nella povertà di larga parte della popolazione, ma anche dalla violenta repressione esercitata dalla dittatura militare instaurata da Augusto Pinochet. Con la sua popolazione allo stremo lo Zimbabwe, oggi vicino alla Cina, è in parte ancora oggetto di sanzioni per la assai impiegata accusa di violazione dei diritti umani, i beni di alcuni cittadini e società sono stati congelati; tutto ciò ha portato a un’inflazione dell’85% con conseguenze facilmente immaginabili.

Riporto qui una breve lista spero aggiornata dei paesi sanzionati dagli Usa e dall’Ue: Afghanistan, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Burundi, Corea del Nord, Crimea, Cuba, Etiopia, Guinea, Iran, Iraq, Libano Libia, Mali, Myanmar, Nicaragua, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Russia, Siria (in parte desanzionata dopo l’eliminazione del governo di Assad), Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Turchia, territori occupati dell’Ucraina, Venezuela, Yemen, Zimbabwe. Come si vede si tratta di piccoli paesi preda di laceranti conflitti alimentati dalle stesse potenze sanzionatrici.

Al contrario, i grandi paesi ricchi di risorse e avanzati tecnologicamente, come Russia e Cina hanno potuto resistere agli attacchi sanzionatori. Per esempio, la Russia ha volto i suoi interessi economici, commerciali e finanziari verso Oriente, stabilendo un forte rapporto con la Cina e con i paesi del Sud globale, che non tollerano più la subordinazione agli Usa e agli altri paesi euroatlantici. In risposta alle sanzioni il governo russo ha assorbito le aziende occidentali (alcune delle quali non hanno abbandonato il paese), ha esportato le sue risorse energetiche a paesi come l’India e la Cina, e ora dipende assai meno dell’Occidente, che però di fatto non può fare a meno di lei. Occorre ricordare che la russofobia non un sentimento nuovo alimentato dall’operazione speciale in Ucraina, ma è semplicemente l’espressione di un piano ben preciso contenuto nella Dottrina Wolfowitz, la cui prima bozza è stata presentata nella Defense Planning Guidance del 1992. In essa si dice: “Il nostro primo obiettivo è prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che rappresenti una minaccia dell’ordine simile a quella rappresentata in passato dall’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante alla base della nuova strategia di difesa regionale e richiederà tutti i nostri sforzi per impedire a qualsiasi potenza ostile di dominare una regione le cui risorse, sotto un controllo consolidato, sarebbero sufficienti a generare un potere globale”. Non a caso la Merkel aveva affermato che la guerra fredda non era finita e che la Russia non era stata “pacificata”, né che dopo la dissoluzione dell’URSS gli assessori statunitensi, tra cui il non bellicista Jeffrey Sacks, pensavano di smembrare il paese in piccoli stati e di ridurre la popolazione a 60 milioni di abitanti, riuscendone a farne morire “solo” 12 milioni grazie alla terapia shock applicata. Quanto alla Cina, essa ha incrementato l’alta tecnologia ed è divenuta partner economico di numerosi paesi del Sud del mondo, dove costruisce importanti infrastrutture nazionali.

I casi esaminati dimostrano – conclude Abt – che le sanzioni non sono alternative pacifiche alla guerra, ma una guerra fatta con altri mezzi, spesso più letali perché colpiscono i paesi e le persone più fragili. Lo studio di Lancet, cui si è fatto riferimento, ha analizzato i dati relativi al periodo che dal 1970 al 2021, confrontando i tassi di mortalità nei paesi sanzionati rispetto a quelli non sanzionati. Da questo esame ha ricavato che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Ue sono correlate a 38 milioni di decessi in eccesso negli ultimi cinquant’anni. Alla fine degli anni ’90 oltre un milione di persone morivano ogni anno a causa di queste scelte politiche. E non si tratta un danno collaterale, è un effetto pianificato e desiderato.

Le sanzioni sono “armi della fame”, che uccidono indiscriminatamente e provocano mezzo milione di decessi ogni anno per fame, povertà e malattie del tutto curabili, garantendo la supremazia ormai vacillante della classe transatlantica.

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