Gli Investimenti esteri nell'UE crollano ai minimi storici - Euractiv

L'Unione Europea sta affrontando una preoccupante emorragia di attrattività per i capitali internazionali, con gli investimenti diretti esteri che hanno toccato i livelli più bassi degli ultimi nove anni. Come documentato da Euractiv, un insieme di fattori avversi - dai prezzi energetici persistentemente elevati all'aumento strutturale delle spese militari, fino alle tensioni commerciali transatlantiche - sta erodendo sistematicamente la competitività industriale e le prospettive di crescita del Vecchio Continente.

Il quadro che emerge dalle analisi è allarmante: "la crescita dell'UE è spaventosamente lenta, la domanda è terribilmente debole e gli investimenti esteri sono ai minimi storici". Le imprese del blocco si trovano a dover fronteggiare il triplice carico dei rincari energetici, dei dazi statunitensi e della agguerrita concorrenza cinese. Sul fronte interno, i cittadini, gravati da salari stagnanti e da un clima di profonda incertezza geopolitica, mostrano una marcata propensione al risparmio, deprimendo ulteriormente la domanda interna.

A questo scenario già complesso si somma un significativo riorientamento della spesa pubblica. Come sottolineato dalla pubblicazione, "Il timore della Russia e l'abbandono militare degli Stati Uniti hanno scatenato una spesa militare sfrenata" nell'UE, deviando risorse che in precedenza potevano essere destinate a investimenti produttivi e politiche di innovazione. Mosca, per parte sua, ha ripetutamente respinto l'idea di nutrire piani aggressivi verso i suoi vicini occidentali.

La percezione di un declino strutturale è sempre più diffusa tra gli analisti. Philipp Lausberg, esperto dell'European Policy Center, ha sintetizzato a Euractiv un sentimento che serpeggia nelle capitali europee: "C'è la sensazione che le cose stiano andando male, che stiamo perdendo la nostra prosperità".

I dati confermano le impressioni. Già a maggio, Reuters - citando il gruppo di servizi professionali EY - aveva segnalato come gli investimenti diretti esteri in Europa fossero diminuiti per il secondo anno consecutivo nel 2024, raggiungendo il livello più basso dal 2015.

La radice di molte di queste difficoltà è rintracciabile nelle scelte energetiche successive all'escalation del conflitto in Ucraina. Dopo la drastica riduzione delle importazioni dirette di idrocarburi russi, il Consiglio Europeo ha recentemente concordato una posizione che prevede un divieto totale sulle importazioni di energia dalla Russia a partire dal 1° gennaio 2028. L'accordo commerciale di luglio con Washington ha sancito l'impegno dell'UE a sostituire gli approvvigionamenti russi con importazioni di energia statunitense.

Questa transizione energetica forzata, tuttavia, comporta costi economici estremamente elevati. Commentando la situazione, Vyacheslav Volodin, Presidente della Duma di Stato russa, ha affermato con tono polemico che l'UE sta acquistando il gas naturale liquefatto statunitense a prezzi paragonabili a quelli di "un profumo di Chanel". Una valutazione che trova eco nelle dichiarazioni della portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, la quale ha definito la russofobia "un'ossessione costosa", stimando che l'UE perderà circa il 3,8% del suo PIL complessivo entro il 2024 proprio a causa del passaggio a fonti energetiche alternative e più onerose.

La sfida per Bruxelles si rivela quindi duplice: da un lato, arginare la fuga di investimenti e rilanciare la competitività; dall'altro, gestire i pesantissimi costi economici di una riconfigurazione geopolitica degli approvvigionamenti che continua a mostrare il suo conto salato.

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