di Fabrizio Verde
Nel panorama giornalistico italiano, pochi autori riescono a mescolare con tanta disinvoltura allusioni, insinuazioni e dati non verificati come Federico Fubini. Nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera, che racconta una Cina a pezzi, sull’orlo del collasso politico e dell’implosione economica, Fubini non analizza: fabbrica una narrazione. Una narrazione pensata più per aderire a un’agenda geopolitica che per informare il lettore. Nel classico solco del circuito informativo mainstream.
Xi Jinping commissariato? La «scomparsa» del leader, il silenzio dei media di Stato: cosa sta succedendo in Cina. https://t.co/tFpjt8NDNV
— MC (@Virus1979C) July 14, 2025
Il pretesto dell'articolo è la presunta instabilità al vertice del potere cinese. Il presidente Xi Jinping, ci racconta Fubini, sarebbe “scomparso” per due settimane, in due momenti distinti dell’anno, come se questo bastasse a far tremare i palazzi del potere di Pechino. Eppure, queste “sparizioni” sono state ampiamente giustificate da impegni interni e non hanno avuto alcun impatto sulle politiche del governo. Le strutture di potere in Cina, al contrario di quanto si voglia far credere, operano con grande coesione e continuità. Sostenere che Xi sia sotto scacco, ostaggio del suo stesso apparato, è un esercizio di speculazione più vicino al romanzo politico che all’analisi geopolitica.
Il cuore dell’articolo, però, è la rappresentazione dell’economia cinese come una macchina in crisi. Fubini riprende senza alcuna verifica le affermazioni di un economista cinese – Gao Shanwen – secondo cui la crescita reale del PIL non sarebbe al 5% come indicato ufficialmente, ma appena sopra il 2%. E la disoccupazione giovanile, secondo questa stessa fonte, sarebbe al 40% invece che al 17%. Affermazioni che l’autore non prova in alcun modo. Non viene citato uno studio, un report indipendente, un’analisi verificabile. Solo un passaggio fugace, utile per insinuare il dubbio: i cinesi mentono, la loro economia è una farsa.
Peccato che la realtà sia ben diversa. Nel primo semestre del 2025 la Cina ha registrato una crescita del 5,3%, in linea con gli obiettivi fissati dal governo e con le previsioni di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale. I dati diffusi dal National Bureau of Statistics mostrano segnali di crescita diffusa: i consumi interni sono aumentati del 5%, la produzione industriale del 6,4%, il commercio estero del 2,9%. In un contesto internazionale segnato da inflazione, stagnazione e conflitti commerciali, si tratta di una performance solida che conferma la solidità del modello economico cinese.
Ma tutto questo non trova spazio nel racconto di Fubini. Né viene menzionato il fatto che, nel primo semestre dell’anno, oltre il 68% della crescita del PIL è stato generato dalla domanda interna, segno di una transizione ormai consolidata da un’economia trainata dall’export a una più equilibrata, sostenuta dai consumi. L’industria cinese ha continuato a investire in tecnologie sostenibili e digitali, portando il settore high-tech a una crescita del 9,5% e consolidando il ruolo della Cina come motore dell’innovazione globale.
È singolare che Fubini ignori completamente questi dati, preferendo insinuare che l’intero impianto dell’economia cinese sia “squilibrato” e “incapace di sostenere i consumi interni”. Lo fa con una leggerezza pericolosa, spacciando impressioni per analisi, e proiettando sull’avversario sistemico – la Cina – le fratture che in realtà appartengono al modello occidentale, oggi in affanno.
C'è un’altra parte del personaggio Fubini che merita di essere ricordata. Lo stesso autore, anni fa, confessò in televisione di aver censurato consapevolmente un articolo che documentava l’aumento della mortalità infantile in Grecia a causa dell’austerità imposta dalla Troika. Non lo pubblicò, disse, per non “dare armi agli anti-europeisti”. Una scelta editoriale che rivela un’idea di giornalismo piegata all’ideologia: meglio nascondere la verità che rischiare di farle dire ciò che non si vuole ammettere, a copertura di un’ideologia tanto crudele quanto fallimentare come quella neoliberista.
Ecco allora che si comprende meglio anche la retorica di questo recente articolo. Non è tanto la Cina a essere nel caos, quanto l’Occidente a essere confuso di fronte a un modello che, andando in direzione opposta al neoliberismo, ha ottenuto risultati straordinari. In pochi decenni, la Repubblica Popolare ha portato fuori dalla povertà oltre 800 milioni di persone, costruito un’industria ad alta tecnologia, garantito stabilità economica e fatto da ancora alla crescita globale anche nei momenti di turbolenza.
Nel momento in cui il vecchio ordine mondiale vacilla, il successo del modello cinese diventa per molti un problema da delegittimare, più che un’esperienza da studiare. L’articolo di Fubini si inserisce perfettamente in questa logica: non raccontare la Cina, ma attaccarla, confondere, insinuare, negare i risultati.
Peccato che la realtà, nonostante le omissioni e le narrazioni selettive, abbia la testa dura. La Cina non è perfetta, ma è solida. Non è immobile, ma in continua trasformazione. E soprattutto, continua a crescere, mentre altri si limitano a commentarla con tono sprezzante, sperando che il racconto basti a fermarne la traiettoria ascendente.
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