“Khaled, concittadino italiano prigioniero politico di Israele”: la Sapienza si mobilita

“Tacciono le leggi in mezzo alle armi”

Cicerone



di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico


Si è svolta nel pomeriggio di venerdì 15 settembre, nella facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’Università La Sapienza di Roma, l’assemblea pubblica per denunciare la drammatica situazione a cui è sottoposto Khaled Al Qaisi, studente del dipartimento di Lingue e Civiltà Orientali, di origini italo-palestinesi, detenuto in Israele senza accuse. Sono intervenuti: Francesca Antinucci, moglie dello studente, Lucia Marchetti, la mamma Lucia Marchetti, in collegamento da remoto, e Flavio Albertini Rossi, legale della famiglia. A condurre l’evento il professor Sarin Marchetti, docente di Filosofia. L’affluenza è stata impetuosa e straripante, una fiumana umana: letteralmente “Travolti dalla solidarietà” ha affermato commossa Francesca, la moglie Khaled, che ha parlato dell’incontro come un momento di “riflessione pubblica”. La mamma del ragazzo, Lucia, con la voce rotta dal pianto ha detto: “Siamo persone normali, semplici, e ci ritroviamo in una situazione tutt’altro che semplice, stiamo cercando di chiarire cosa stia succedendo”.


La testimonianza del momento dell’arresto, della moglie Francesca

La famiglia -composta da lei, Khaled e il figlioletto di quattro anni- si trovava, nel momento dell’arresto, in area di pertinenza israeliana: una zona di passaggio per raggiungere gli uffici a cui era destinata. Lo scopo del viaggio, infatti, era quello di verificare l’effettiva registrazione all’anagrafe, del matrimonio e della nascita del piccolo.

Francesca Antinucci ha raccontato il momento dell’arresto, brutale e senza spiegazioni, al quale ha assistito anche il figlio di soli quattro anni. Tutto è iniziato con il ripetuto controllo dei bagagli a mano, poi sequestrati, telefonini inclusi. Più volte è stato chiesto a Khaled di avvicinarsi e allontanarsi al nastro del controllo bagagli, finché una guardia di frontiera non lo ha ammanettato con i polsi incrociati. Alla moglie è poi stato ordinato di stare seduta e aspettare, e quando il bimbo ha iniziato a piangere, le è stato intimato, in modo brusco, di fare silenzio. In seguito anche lei è stata interrogata sugli orientamenti politici del marito e su altre informazioni personali, proprie e di Khaled. Francesca ha anche raccontato dei giorni successivi, privata del denaro e del telefono: una volta rilasciata, sconvolta e terrorizzata, da sola con il piccolo, è riuscita a recarsi all’ambasciata italiana, solo grazie alla generosità di un gruppo di signore palestinesi che le hanno donato una somma sufficiente di denaro per raggiungerla.


L’avvocato Albertini: “Khaled in isolamento, subisce duri interrogatori e non c’è un capo d’accusa”

L’avvocato ha spiegato come il nostro concittadino si trovi in una forma detentiva di isolamento, se non durante i duri interrogatori, e questo fiacchi la tenuta psicologica del giovane, che non ha avuto per due settimane notizie della famiglia. “In Israele, per i palestinesi, è previsto l’interrogatorio fisico, il quale include una leggera brutalizzazione del detenuto; tuttavia la doppia cittadinanza potrebbe essere un deterrente per la polizia carceraria, risparmiando forse a Khaled questo trattamento. Inoltre la detenzione amministrativa prevede un rinnovo della pena carceraria di sei mesi in sei mesi, anche senza capi di accusa. Tutto questo accade senza alcun capo di imputazione e senza alcuna contestazione precisa e formale” ha precisato.

Il legale ha chiarito lo scopo dell’incontro all’interno dell’accademia romana: “Questa assemblea è volta alla creazione di un comitato che riporti a casa il nostro connazionale in tempi rapidissimi”. Anche se la vicenda di Khaled si innesta in una questione internazionale, Albertini ha fatto appello affinché la situazione resti sul piano umanitario e non si esasperi sul piano politico, cosa che potrebbe rendere più difficile il rientro di Al Qaisi dalla sua famiglia. Il Comitato ha quindi il suo perno su quello che è un “oltraggio ai diritti umani”, senza voler per questo rendere “monche le iniziative di altre associazioni che vorranno mobilitarsi” e di quelle che da anni si battono per la libertà della Palestina dall’occupazione israeliana.

“Israele è un Medioevo giuridico: viene interrogato quotidianamente per diverse ore al giorno, e fino al 15° giorno senza alcuna assistenza legale. Nello stato di Israele questo trattamento è previsto dalla legge” ha proseguito.

E inoltre: “L’unica ragione per cui Khaled non viene giudicato da un giudice militare, ma da un giudice civile, risiede nella doppia cittadinanza, che lo rende anche italiano. Se la sua cittadinanza fosse stata esclusivamente quella palestinese, non avrebbe goduto nemmeno di questa minima garanzia”.

Abbiamo chiesto all’avvocato come si procederà nelle prossime ore, sul piano strettamente giuridico: “Attualmente, purtroppo, non abbiamo grandi strumenti per agire: io sono un avvocato che lavora all’interno della giurisdizione italiana, ma la vicenda di Khaled si svolge in Israele, e questo non ci consente di intervenire direttamente. Quello che si può e si deve fare è far conoscere la vicenda, in modo che l’opinione pubblica faccia pressione sulle istituzioni e sul governo italiano, denunciano le storture e i gravissimi vizi di questa detenzione indebita; cosicché l’indignazione pubblica faccia leva sul Governo per spingere verso un rapporto di forza favorevole a Khaled”.




“Khaled, concittadino italiano prigioniero politico di Israele”

“Un concittadino italiano prigioniero politico di Israele”, così ha definito la condizione di Khaled, il rappresentante della Gioventù comunista del PCI, mentre COBAS ha parlato di un “sequestro di persona, che purtroppo il cittadino palestinese rischia e subisce ogni giorno”. Giovani Palestinesi d’Italia ha precisato che ciò che sta accadendo a Khaled non ha analogie con quanto accaduto a Patrick Zaki perché “Khaled è italiano, ed è uno studente e si trova sotto accusa di uno Stato che non è il suo”.

Alla luce della violenza dei fatti e della mancanza di qualsiasi capo d’accusa contro El Qaisi, si richiede l’immediata mobilitazione della Farnesina e l’intervento delle istituzioni italiane per liberare Khaled.

Gli organi di stampa e la televisione italiana hanno il dovere, urgente e cogente, di rendere tempestivamente noto questo scandalo giuridico ed etico. E l’intera cittadinanza italiana, deve premere perché si conosca questa insopportabile vicenda.

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