L’AES tira il fiato grazie alla Russia

13 Novembre 2025 14:30 Alex Marsaglia

di Alex Marsaglia

Quanto avvenuto negli ultimi mesi in Mali rientra a pieno titolo nello schema già visto più volte negli ultimi anni dalla Libia alla Siria, proprio per questo è importante un minimo approfondimento. A partire da Settembre il Mali è stato preso di mira dal più esteso attacco delle milizie jihadiste di sempre nell’area, proprio in seguito alla definitiva rottura dei rapporti con la potenza colonizzatrice francese che ha interrotto la cooperazione militare per il contro-terrorismo (vedi qui: https://www.rfi.fr/en/africa/20250919-france-suspends-counterterrorism-cooperation-with-mali-after-diplomat-s-arrest). Nella fattispecie il gruppo Jnim (Jama’at Nusrat al-Islam) affiliato ad Al Qaeda ha iniziato a bloccare l’arrivo di carburante e beni di prima necessità dal confine occidentale del Senegal (appartenente all’ECOWAS da cui l’AES è fuoriuscita) e settentrionale dell’Algeria. Con il passare dei mesi il sabotaggio delle forze jihadiste, con l’assalto ai convogli di rifornimento, ha aggravato sempre di più la situazione del Paese che nelle ultime settimane di Ottobre si è visto costretto a chiudere parte dei servizi pubblici, dalle scuole agli ospedali, mentre gravi disordini iniziavano a imperversare cingendo d’assedio persino la capitale Bamako. Il Presidente Goïta ha immediatamente accusato la colonialista Francia e il collaborazionismo dell’Algeria per le interferenze compiute tramite i gruppi jihadisti al fine di destabilizzare il Paese.

La grave crisi energetica eterodiretta e aggravata dalla rottura definitiva dei rapporti con l’Algeria di Tebboune non ha lasciato indifferente la Russia, che sinora aveva cooperato militarmente nelle operazioni contro-terroristiche, e ha deciso di intervenire direttamente in modo da evitare il blocco energetico che stava facendo sprofondare il più grande Paese dell’alleanza in una crisi che rischiava di diventare irrimediabile e che avrebbe potuto facilmente estendersi ai vicini Burkina Faso e Niger, compromettendo l’intera Alleanza di Stati del Sahel. Così il 27 Ottobre scorso sono stati siglati accordi per il rifornimento di oltre 200.000 tonnellate di petrolio e prodotti agricoli che stanno iniziando ad arrivare tramite container e cisterne scortate dagli Africa Corps della Wagner. Solo la scorsa notte sono arrivate 300 autocisterne di carburante in supporto di Bamako, mentre ne sono in viaggio altre 5.000. In tal modo la Russia ha lavorato in una dinamica win-win, accrescendo i propri interessi energetici nella zona e accorrendo in difesa di un alleato fondamentale dell’area. La crisi energetica maliana invece ha messo in luce una nuova forma di guerra condotta dai gruppi jihadisti, finanziati dalle potenze neocolonialiste e dai suoi Quisling: la destabilizzazione di uno Stato nemico tramite asfissia economica ed energetica. Insomma, in particolare dopo che i paesi dell’AES hanno iniziato ad attuare un piano massiccio di nazionalizzazioni e socializzazioni, sottraendo direttamente risorse e capitali alle grandi corporation occidentali è diventato fondamentale per l’Occidente riappropriarsi di quei territori. E siccome «gli stati falliti (…) non falliscono da sé, ma vengono fatti fallire attraverso l’ingerenza occidentale»[1] ecco tornare prontamente alla carica il neocolonialismo che negli ultimi mesi ha lavorato potentemente per destabilizzare il Mali. Questa volta lo ha fatto cercando di scardinare l’ordine statuale tramite la crisi energetica, ma gli strumenti utilizzati per l’affondo restano sempre gli stessi da decenni. La fantasia degli imperialisti è molto limitata ultimamente e non sanno far altro che assoldare «truppe regolari di Stati-clienti, compagnie militari private, milizie di minoranze etniche ribelli, gruppi settari islamici, fino ai gruppi jihadisti»[2] per innescare proxy war. In sostanza, si è trattato di replicare sempre il solito modello che ha funzionato sin troppo bene in Libia e in Siria, esportandolo anche in Mali. Non sorprende che vi siano persino milizie israeliane e ucraine a combattere in Africa a fianco dei jihadisti (così come vi sono i jihadisti a fianco dell’Ucraina e di Israele) contro le forze che inneggiano alla decolonizzazione e all’indipendentismo, poiché una solida alleanza tra colonialismo e imperialismo è perfettamente funzionale a tenere in vita l’Occidente nella sua aggressiva fase di decadenza che lo ha spinto a innescare fronti di guerra un po’ in tutto il mondo. D’altra parte «la dottrina militare occidentale definisce il periodo attuale come expeditionary era, cioè l’epoca delle spedizioni militari. Tale teoria si traduce in pratica in una tendenza all’aumento delle unità operative e dei mezzi non difensivi ma inerenti alla capacità di “proiezione di forza” all’estero»[3]. E questo è ciò a cui abbiamo assistito attoniti sinora. Ora però è intervenuto «il fatto economico e politico più importante degli ultimi venti o trent’anni», cioè «l’avvio di un’accumulazione autonoma di capitale in alcuni Paesi periferici (…) che spesso dispongono a loro sostegno di apparati statali e militari relativamente potenti che non accettano più il dominio economico, politico e finanziario occidentale, in particolare il dominio del dollaro»[4]. Tutto ciò non poteva che portare ad alleanze e tattiche di mutua difesa in grado di replicarsi in ogni parte della scacchiera globale in cui l’imperialismo e il colonialismo tentano il loro affondo. La replica russa in Mali rientra perfettamente all’interno di questa dinamica conflittuale, restituendo colpo su colpo e stabilizzando le crisi al fine di creare alleanze che non siano favorevoli unicamente ad una parte: è il multipolarismo bellezza, bisognerà quantomeno che nelle loro offensive si ingegnino con più fantasia.

[1] D. Moro, La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, p.109

[2] Ibidem

[3] Ivi, p. 111

[4] Ivi, pp. 123-124

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