Le basi militari USA e NATO sono avamposti di guerra?

di Federico Giusti

Che cosa è l'economia di guerra? Una economia che va adeguandosi alle esigenze di un conflitto bellico e si indirizza verso l’aumento delle produzioni militari. Storicamente una economia di guerra ha avuto bisogno di due supporti: la regolamentazione statale e la riorganizzazione della produzione con uno Stato forte, ma non necessariamente autoritario, che centralizza e indirizza le risorse economiche verso obiettivi militari e stabilisce un sistema di regole securitarie che mirano direttamente a criminalizzare il conflitto contro l’aumento delle spese militari.

In Germania alcune industrie dell’indotto metalmeccanico sono già indirizzate verso la produzione di componenti militari, in Italia siamo ancora indietro nell’opera di “diversificare e riconvertire le proprie attività verso la Difesa”. Il taglio al fondo automotive a favore della Difesa di mesi or sono, il ruolo da protagonista di Leonardo, le joint venture con imprese straniere produttrici di armi e tecnologie duali sono già una realtà, le idee su come rilanciare gli stabilimenti di Cassino e Termoli di Stellantis ci sono, la multinazionale che un tempo fu italiana e il Governo non hanno intenzione alcuna di scoprire le carte, intanto settori del sindacato rappresentativo parlano esplicitamente di grandi opportunità da cogliere e assicurano il loro assenso ad una economia di guerra a favore dell’occupazione.

Rheinmetall, azienda tedesca centrale nei progetti di riarmo europei, è presente anche in Italia con la sua controllata e due stabilimenti occupandosi della produzione di valvole e pompe a ridotte emissioni. Un aspetto dirimente dell’economia di guerra è rappresentato da produzioni a basso impatto ambientale, alla riconversione ecologica è ormai subentrata quella bellica.

E il modello renano senza dubbio resta quello di riferimento in Europa approfittando di un piano di riarmo da 800 miliardi di euro.

Ci stiamo allora trasformando in una economia di guerra? Stando a un report commissionato da Banca Etica siamo dinanzi a un colossale giro di affari per altro in continua crescita, parliamo di oltre 959 miliardi di dollari provenienti dalle istituzioni finanziarie a supporto della produzione e del commercio di armi. E i luoghi di lavoro sono soggetti a feroci militarizzazioni, scioperare contro il trasporto di armi via ferrovia o attraverso porti e aeroporti sta diventando sempre più difficile per gli interventi preventivi e repressivi della Commissione di garanzia e perché, in nome della difesa nazionale ed internazionale, vorrebbero chiudere la bocca ai lavoratori e alle lavoratrici riluttanti a rendersi complici della guerra e del riarmo. Non deve quindi destare meraviglia che si vadano accelerando i tempi e le procedure atte a costruire infrastrutture a fini di guerra anche se in apparenza sembreranno interventi di natura civile. Il collegamento via acqua e via ferrovia che collega la base Usa di Camp Darby al porto di Livorno e alla stazione di Tombolo è avvenuta nel silenzio assenso anche di buona parte del movimento contro la guerra. E intanto si annunciano il 13 Luglio e il 19 luglio due manifestazioni davanti a Camp Darby, la prima promossa da Usb. Cub e disarmiamoli, la seconda da un cartello di forze assai vasto fino a includere chi sull’invio delle prime armi all’Ucraina non avanzò alcuna obiezione

La Finanziarizzazione della guerra alimenta i conflitti ma ancor prima innumerevoli processi speculativi in campo economico e finanziario, dopo gli affari della finanza arriverà la riconversione di produzioni civili in militari e magari anche con l’assenso del sindacato che nel passato ha avallato produzioni nocive a salvaguardia dell’occupazione, un po’ come potrebbe fare oggi accogliendo il Riarmo come soluzione alla crisi del settore meccanico e della tradizionale manifattura.

Mediobanca parla di un grande rendimento azionario delle aziende della difesa cresciuto tra il 2022 e il 2024 di oltre il 70 per cento, investire in titoli azionari di armi significa totalizzare utili superiori del 300 per cento ad altre linee di investimento.

Ma sarebbe urgente chiedersi quale sia il ruolo del sindacato in questo contesto storico? Lo spiega il sindacato Cub in un volantino

Il sindacato diventa complice del riarmo:

  • Non opponendosi alla guerra attraverso campagne, scioperi e mobilitazioni.
  • Scambiando aumenti contrattuali irrisori con istituti contrattuali divisivi.
  • Favorendo la speculazione finanziaria attorno a titoli di imprese belliche (e i fondi pensioni del nord Europa non lesinano acquisizione di azioni destinate a grandi utili).
  • Non opponendosi alle spese militari al 5% del Pil deciso nell’ultimo summit Nato. Per trovare questi soldi taglieranno il welfare, i fondi destinati al sociale.
  • Facendo credere che sottostare al riarmo e all’economia di guerra saranno salvati i posti di lavoro come quando accettavano produzioni nocive con lo spettro dei licenziamenti.

Si dimentica invece che:

  • Il settore della produzione di armi non è ad alta intensità di manodopera.
  • L’aumento esponenziale della produzione di sistemi di arma non ha generato l’occupazione auspicata anche dai sindacati.
  • Gli effetti della riconversione economica sono tutti da dimostrare, ad esempio qualcuno si è chiesto quali sarebbero gli effetti sul settore dell’auto se ripensato in chiave ecologica?

E ancora la Cub aggiunge:

In un quadro generale di aumento di spese militari registriamo:

  • il diffondersi della “cultura di guerra” nelle scuole e nelle università attraverso protocolli e accordi di vario genere fino agli stages formativi all’interno delle aziende di armi e delle basi militari.
  • Appalti per infrastrutture belliche in deroga alle norme vigenti, le giuste denunce dei movimenti contro la guerra stridono con il loro colpevole silenzio verso tutti quei meccanismi antidemocratici che hanno sperimentato il principio della riservatezza e della segretezza attorno alla basi Usa e Nato
  • l’indottrinamento quotidiano delle alunne e degli alunni nelle scuole di ogni ordine e grado.
  • Il diretto coinvolgimento del personale scolastico -da parte del Governo, Forze Armate e fondazioni nella quotidiana costruzione della dottrina di guerra.
  • Il coinvolgimento di lavoratori lavoratrici nella logistica di guerra (portuali, ferrovieri, aeroportuali ecc.) pregiudicando anche il loro diritto allo sciopero.

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