“L’Isola di Faustino” di G. Zordan: quando è proprio un romanzo a raccontare la Cuba più vera


di Giulia Bertotto per l’AntiDiplomatico

L’Isola Di Faustino di Giordano Zordan, insegnante in pensione, già autore di premiati romanzi come questo edito da L’AD (2022), è una storia che riesce a coinvolgere anche il lettore meno interessato alla politica internazionale. Infatti, raccontando il dolore più grande che si possa provare, l’irreparabile, come lo chiama il protagonista Faustino, -la perdita in un attentato a Cuba del figlio Dario- spiega al lettore le politiche aggressive dell’embargo imperialista, gli attentati, e quella che si consolida come una vera e propria economia di guerra; una guerra a senso unico scatenata per piegare l’economia, portare disordine, favorire delinquenza e corruzione, creare scontento e fiaccare il morale del paese caraibico. Dopo quel lutto inconsolabile, Cuba, così amata dal figlio, diventa per Faustino la sua isola, mentre la sua visione si apre, capitolo dopo capitolo, a tutto il mondo.

Abbiamo intervistato l’autore di questo toccante romanzo, vicenda personale e intrigo internazionale, per conoscere meglio i retroscena di una storia biografica che diventa l’occasione per un rigoroso saggio di analisi geopolitica. Quando è proprio un romanzo a raccontare la Cuba più vera.



Dottor Zordan, perché ha scritto questo libro?

Ho scritto questo libro con l’intenzione di avvicinare il lettore medio, disattento alla politica internazionale e purtroppo spesso manipolato dalla propaganda euro-americana ad una visione pluralistica e complessa. Si fa fatica ad arrivare a fine mese quindi comprendo la visione limitata di ciò che accade del mondo. Anche se occorrerebbe fare lo sforzo di capire che la fatica mensile e salariale di ciascuno dipende anche dal contesto internazionale. Faustino è una persona comune, non certo insensibile ma neppure vigile o sospettosa in merito alle vicende internazionali. Non è neppure ingenuo, anzi è consapevole del fatto che i governi traggono loschi vantaggi dalla manipolazione delle informazioni e della comunicazione, ma non ha neppure il coraggio e l’entusiasmo combattivo del figlio. Dopo la sua perdita si metterà sulle tracce degli attentatori del figlio. Gli indizi sul percorso si estendono oltre Cuba nello spazio, e indietro nella storia nel tempo: lo porteranno a capire perché l’URSS ha alzato l’iconico Muro di Berlino, chi manovra la Stampa e la gran parte delle Reti televisive occidentali, chi sono i sostenitori finanziari e logistici di gruppi armati come Isis in Iraq o Al-Nusra in Siria, quali obiettivi orientano le niente affatto spontanee “primavere arabe”, e qual è il vero colore della “rivoluzione arancione” in Ucraina. La storia di Faustino testimonia che anche sul finire della vita, ci si può aprire allo studio e alla divulgazione, alla ricerca della complessità che può avvicinarci alla verità.

Si tratta di una vicenda reale e non solo verosimile?

La storia di Faustino si basa su fatti in gran parte veri: l'attentato, il figlio morto (Fabio Di Celmo), il protagonista (Giustino Di Celmo), e altro ancora, tutto reperibile in internet. L’imprenditore trentaduenne Fabio Di Celmo venne ucciso a Cuba il 4 settembre 1997 dall’esplosione di una bomba, il cui mandante era il terrorista anticastrista Luis Posada Carriles. L’ordigno era piazzato nel bar dell’Hotel Copacabana a l'Avana. Il criminale rivelò di essere stato a servizio anche della Cia e dell’Fbi. Per quanto riguarda me, ho soltanto lavorato di fantasia su fatti reali, ho cambiato i nomi per un mio riguardo a parenti e amici dei Di Celmo.

Anche molte tradizioni spirituali antiche, il concetto di inconscio collettivo e individuale in Jung, le recenti e strabilianti scoperte della fisica dei quanti, ci comunicano che le più piccole cose e le più grandi sono collegate e connesse.

Sì, è vero, mi pare una bella suggestione che ben aderisce al mio romanzo e a ciò che cerco di trasmettere da queste pagine.


Nel capitolo Attentati spiega i metodi di una guerra che non viene combattuta con le bombe ma non per questo miete meno vittime e scrive “ottomila tacchini furono avvelenati con il virus morbo di Newcastle, una patologia letale” e ancora “documenti desecretati dimostrano l’allevamento, in laboratori della Georgia, del Maryland e della Florida, di zanzare del tipo Aedes Aegipti, vettore della malattia, e la diffusione di virus atti a favorire il dengue e altre patologie infettive”. Da anni le armi biologiche e la diffusione artificiale di agenti patogeni, non sono più fantascienza, eppure chi oggi prova a denunciarlo, come ad esempio a proposito del Covid-19 viene squalificato intellettualmente come “complottista”, “cospirazionista”.

Personalmente non credo che il sars-CoV-2 sia arrivato dalla Cina, infatti dei ceppi sono stati trovati anche all’Istituto Tumori di Milano prima che il virus facesse la sua comparsa dal levante. Dunque la sua comparsa è dapprima statunitense, mentre la sua notorietà mediatica è sopraggiunta successivamente, probabilmente per diffamare la Cina agli occhi del mondo. Ma non potrei certo portare avanti questa tesi con la competenza di uno scienziato, la mia è un’opinione, dettata anche dalle esigenze del contesto internazionale all’interno del quale non credo che Pechino avesse interesse nel diffondere un virus. Se poi vogliamo considerare l’ipotesi di una fuga accidentale e quindi di un errore umano, è possibile; questi pericolosi laboratori lavorano potenziando virus già letali.


Dove parla dell’incoraggiamento della migrazione clandestina possiamo trovare tracce di quello che sostiene anche Michelangelo Severgnini nel suo libro e documentario L’Urlo (L’AD Edizioni): “Gli Usa cominciarono ad aprire le porte a tutti i cubani che volessero recarvisi, per privare Cuba dei suoi professori, maestri, medici, ingegneri, tecnici. Cominciò l’esodo di professionisti qualificati, attirati da salari altissimi e da offerte molto allettanti. Di seimila medici presenti allora a Cuba, ne restarono la metà”. Insomma anche se in modo diverso da quello che accade in Italia, l’esodo di massa può essere un’arma di guerra.

Certo, le migrazioni di massa possono essere utilizzate in diversi modi da governi, enti, associazioni e perfino ONG senza scrupoli. Per quanto riguarda Cuba, molti professionisti -seppur tentati da uno stipendio molto più lauto e uno stile di vita più ricco- restano a Cuba per servire la loro patria e svolgere il loro mestiere laddove ce n’è più bisogno. Questo fa parte dello spirito di Cuba; non si tratta di eroicizzare i cubani, ogni popolo ha debolezze collettive e punti di forza che lo contraddistinguono e che dipendono dalla geografia del posto, dai risvolti della storia, dalla cultura nel senso ampio e profondo, dai soprusi subiti, da quelli commessi, dagli adattamenti sviluppati per far fronte alle difficoltà socio-politiche.

Qual è lo stato di salute di Cuba oggi?

L’ultima volta che sono stato nell’Isola di Faustino era ben 12 anni fa, tanti se pensiamo alla rapidità con la quale cambia il mondo oggi. Eppure l’embargo c’è ancora, così come le difficoltà economiche che descrivo nel libro: approvvigionamento idrico costante, servizio elettrico stabile, disponibilità di tutti i prodotti alimentari in ogni periodo dell’anno, carenza abitativa. Tuttavia le iniziative statali sono sempre molto attente e pronte a sostenere il benessere della popolazione e dalle notizie che mi arrivano dai parenti di mia moglie, cubana, la situazione è in progressivo miglioramento.

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