La conferma dell’avvenuta conversazione telefonica Trump-Maduro arriva accompagnata da una nuova lezione di come spesso la narrazione mediatica si nutra di supposizioni distorte utili solo a sostenere determinate agende geopolitiche. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha confermato ieri, con un tono volutamente pacato e improntato alla "prudenza diplomatica", di aver ricevuto circa dieci giorni fa una telefonata dal suo omologo statunitense Donald Trump. Una conversazione definita "rispettosa e cordiale" da “pari a pari”, partita dalla Casa Bianca verso il Palacio di Miraflores.
L'annuncio, fatto da Maduro durante un evento a Petare (quartiere della capitale Caracas), smonta pezzo per pezzo la narrazione che per settimane aveva invaso la stampa mainstream internazionale e ovviamente anche italiana. Quegli stessi media che, riportando voci non confermate, avevano dipinto lo scenario di presunti ultimatum lanciati da Trump a Maduro, di minacce esplicite o di condizioni dettate a gran voce. Nulla di tutto ciò traspare dal resoconto offerto dal presidente venezuelano, il quale ha invece insistito sulla riservatezza e sul silenzio che devono proteggere le questioni di alta diplomazia. "Quando ci sono cose importanti, in silenzio, devono essere. Fino a quando non si realizzano", ha affermato, attribuendo questa lezione agli anni come ministro degli Esteri sotto la guida di Hugo Chávez.
La reazione del mondo politico venezuelano non si è fatta attendere e ha puntato il dito proprio contro la disinformazione. Diosdado Cabello, segretario generale del Partito Socialista Unito del Venezuela, ha ironizzato pesantemente durante il suo programma televisivo: "E dicevano: 'Il mio presidente Trump no, inoltre lui non riconosce Nicolás Maduro come presidente, come può chiamarlo?'. È avvenuta la chiamata, e ora tutti sono esperti nel sapere cosa si sono detti, nessuno era lì, nessuno ha la minima idea". Cabello ha bollato qualsiasi commento dell'opposizione venezuelana sull'argomento come menzogna, “di questo vive quella stupida opposizione".
Maduro, dal canto suo, ha trasformato l'annuncio in un appello più ampio. Se questa chiamata significa "che si stanno facendo passi verso un dialogo rispettoso, benvenuto il dialogo, benvenuta la pace", ha dichiarato. Rivolgendosi idealmente al popolo statunitense, ha aggiunto: "Gli Stati Uniti, tutto il suo popolo, la sua gioventù, sono stanchi di guerre eterne", citando le ferite psicologiche collettive di Vietnam, Iraq, Afghanistan e Libia. "Credo che la strada di entrambi i popoli debba essere una strada di rispetto, di diplomazia e di dialogo".
En #TimesSquare, una nueva valla publicitaria rechaza enérgicamente las agresiones e injerencias contra Venezuela, defendiendo su soberanía y el derecho de los pueblos. pic.twitter.com/BiLkrj652K
— teleSUR TV (@teleSURtv) December 3, 2025
La conversazione si è svolta in un contesto di altissima tensione, con dispiegamenti militari statunitensi al largo delle coste venezolane giustificati da Washington dietro il pretesto della lotta al narcotraffico, motivazione definita "assurda" dalle autorità di Caracas, che invece denunciano a gran voce le minacce alla sovranità nazionale e la volontà di appropriarsi delle risorse petrolifere del paese.
Al di là delle valutazioni geopolitiche, il caso offre un'ulteriore prova di come il racconto dei fatti sia sempre distorto da narrazioni precostituite. Mentre gran parte della stampa mainstream cavalcava la sceneggiatura dell'ultimatum e dello scontro frontale, la realtà - per come viene descritta da Maduro - sembra essere stata, almeno in questo primo contatto, quella di un canale di comunicazione aperto, seppur carico di diffidenze. Un dialogo tra presidenti che, nella versione ufficiale venezuelana, non è iniziato con toni da ultimatum ma con una telefonata "cordialmente rispettosa". Ancora una volta le ricostruzioni della stampa mainstream sono claorosamente smentite.
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