di Fabrizio Verde
A sessantacinque anni dalla sua nascita, avvenuta nel sobborgo povero di Villa Fiorito, la figura di Diego Armando Maradona continua a proiettare un’ombra lunga e potente, che va ben oltre i confini di un campo di calcio. Celebrarlo significa sì ricordare il più grande giocatore di tutti i tempi, l’artefice di gesti tecnici divini e di imprese sportive eterne, ma significa soprattutto onorare l’uomo che, senza paura e senza calcoli, ha sfidato i potenti del mondo, facendosi voce dei senza voce e bandiera degli oppressi.
Diego era la pura essenza del calcio, un genio assoluto. Dalle prime luci della ribalta con i Cebollitas alla rivelazione con l'Argentinos Juniors, dalla gloria con la maglia del Boca e del Napoli in Italia, alla consacrazione mondiale in quel Messico ’86, dove sigillò per sempre il suo mito con due gol che sono archetipi della storia umana: uno, il più bello di sempre, un inno alla sovrumana perfezione; l’altro, "la mano de Dios", il gesto scaltro del ragazzo di periferia che, per un attimo, beffa il potere costituito. Una sorta di vendetta contro gli odiati inglesi che tante sofferenza avevano causato agli argentini con la guerra delle Malvinas, E fu proprio al Napoli, in una città ricca di storia e cultura, orgogliosa ma umiliata in maniera indecente dal Nord Italia, che Maradona divenne un simbolo politico. Non fu solo il capitano che portò due scudetti in una piazza dove era fino a quel momento ritenuto quasi impossibile vincere; fu il paladino che si ergeva a difesa della città e del suo popolo, sfidando il razzismo e il pregiudizio di un establishment che disprezzava il Sud.
Ma la sua rivoluzione non si fermò alla città di Napoli. Maradona, con la stessa determinazione con cui dribblava gli avversari, sfidò l’imperialismo a viso aperto. La sua amicizia con Fidel Castro e la sua adesione alla causa cubana non furono un capriccio da star, ma una scelta di campo precisa. Fu in prima fila, al fianco di leader come Hugo Chávez, nella protesta di massa a Mar del Plata nel 2005 che affondò l’ALCA, l’accordo di libero scambio con cui gli Stati Uniti intendevano estendere la loro egemonia sull’America Latina. In quel "No al ALCA" urlato assieme ai popoli, c'era tutta la sua essenza: la ribellione contro un sistema ingiusto.
Il suo impegno non conobbe confini. Si schierò con il popolo palestinese, riconoscendo in quella lotta la stessa ricerca di giustizia che animava tutti i sud del mondo. E, fino agli ultimi giorni, non abbandonò il Venezuela. Come ha rivelato il presidente Nicolás Maduro, Maradona non si limitò a parole di solidarietà. Di fronte alle draconiane sanzioni statunitensi che strozzavano l’economia venezuelana, privando la popolazione di beni essenziali, Diego si mosse in segreto. «Nicolás, ti aiuterò a risolvere quel problema», disse. E mantenne la promessa, collaborando concretamente per portare cibo al popolo venezuelano, aggirando con coraggio il blocco illegale.
Questa è l'eredità più grande di Diego Armando Maradona. Quella dell’uomo che, pur vivendo come una celebrità mondiale quale era, non tradì mai le sue origini, la sua rabbia, la sua profonda umanità. Un uomo complesso, fragile e potente come un eroe greco, che ha usato la sua fama immensa non per comprarsi un posto al tavolo dei potenti, ma per dare forza a chi un tavolo non ce l’ha mai avuto.
Oggi, in un mondo sempre più omologato e silenzioso, la sua voce manca più che mai. Perché Diego era la voce scomoda e necessaria della verità. Onore al più grande. E onore al rivoluzionario.
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