di Marco Travaglio - Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2025
Qualche dato sulla guerra in Ucraina: non della Pravda, ma dell’Institute for the Study of the War (Isw) americano, think tank neocon ultra-atlantista e filo-ucraino: i russi controllano circa il 20% del territorio ucraino (oltre 115 mila kmq.): la Crimea annessa nel 2014, l’intero Lugansk, l’85% del Donetsk, l’80% della regione di Zaporizhzhia, il 76% di quella di Kherson (fino al fiume Dnepr), più vari territori in quelle di Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk. Nel 2022, subito dopo l’invasione, erano giunti a occupare un 27% a macchia di leopardo, poi il ridislocamento delle truppe nelle aree più strategiche per i negoziati di Istanbul e le ritirate per la prima controffensiva ucraina (l’unica riuscita) li avevano sensibilmente ridotti. Nel 2023 la seconda controffensiva ucraina fu un disastro: 584 kmq persi in un anno. Da allora Mosca non smette di avanzare e Kiev di arretrare. Nel 2024 l’armata russa ha conquistato altri 4.168 kmq: 347,3 al mese. Ma con un picco-record di 725 a novembre. Poi nel 2025 si è tornati alla media precedente, fino a 634 kmq in luglio, 594 in agosto, 447 in settembre, 461 in ottobre e 701 in novembre. Anche per le stime dell’Isw, che Mosca contesta come riduttive, le conquiste russe del 2025 superano di oltre 2 mila kmq quelle del 2024.
Da due anni la musica non cambia, né potrà farlo in futuro, se non in peggio per gli ucraini: l’esercito si assottiglia sempre più per i morti, i mutilati, i mancati ricambi, le diserzioni dal fronte e le fughe dal reclutamento forzato, mentre i russi continuano ad arruolare 30 mila volontari al mese. Le armi a Kiev scarseggiano perché gli Usa non ne regalano più (e ora minacciano di ritirare pure l’intelligence satellitare), ma le vendono agli europei, che però hanno le casse e gli arsenali vuoti. E poi c’è l’aspetto che sfugge a chi misura la guerra col righello per fingere che non sia persa: la qualità dell’avanzata russa dopo la faticosa presa di Pokrovsk (14 mesi di assedio), che ha sbriciolato quel che restava della linea fortificata a ferro di cavallo eretta dalla Nato dal 2014 per separare il Donbass secessionista dal resto del Paese e impedire sfondamenti filorussi e russi. Dietro quello snodo militare, logistico e industriale, non ci sono più barriere per arginare i russi verso Zaporizhzhia, Dnipro e Kharkiv (dopo il crollo di Kupiansk): le nuove trincee, lautamente finanziate dalla Nato, non si sono mai viste perché la cricca di Kiev s’è rubata pure quei fondi. E ora in Donetsk sta cadendo anche Seversk, tra Lyman e Kostantynivka, favorendo l’avanzata russa verso la roccaforte Slovjansk. Chi sabota il negoziato di Trump raccontando che il fronte è in stallo, o addirittura che gli ucraini resistono e possono vincere è un criminale che li vuole tutti morti.
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