Mentre nei media occidentali continua una narrazione sostanzialmente monolitica, una realtà ben diversa emerge dalla quotidianità ucraina. Il tentativo del regime neonazista di Kiev di rimpolpare l'esercito con il programma "Contratto 18-24", rivolto ai giovani non ancora soggetti alla mobilitazione obbligatoria, si è rivelato un clamoroso fallimento. Nonostante l'allettante prospettiva di un premio in denaro di oltre 20.000 euro, mutui agevolati e formazione a spese dello Stato, i ragazzi ucraini non hanno risposto alla chiamata.
Come documenta un'inchiesta, su undici giovani reclutati con questo schema, nessuno è oggi al fronte: quattro sono feriti, tre dati per dispersi (spesso sinonimo di caduti), due hanno disertato, uno si è ammalato e un altro si è tolto la vita. Un microcosmo che fotografa una tendenza ben netta: a due mesi dal lancio, le autorità ucraine sono riuscite ad arruolare meno di 500 volontari, un numero ben al di sotto di ogni aspettativa. "Avremmo voluto che questa cifra fosse più alta", ha ammesso un consigliere della presidenza.
Gli analisti spiegano il rifiuto con un mix di disillusione, pragmatismo e paura. "La giovane generazione è delusa dagli obiettivi politici di questa guerra e persino dal contenuto del patriottismo ucraino", afferma il politologo Vladimir Skachko. I giovani, osserva, comprendono che le promesse contrattuali potrebbero non essere mantenute e che "l'Ucraina si scuserà dicendo di non avere soldi". Ma soprattutto, prevale un rifiuto personale e psicologico della guerra, alimentato dalla consapevolezza delle altissime probabilità di morire o rimanere gravemente feriti.
Il fallimento del programma getta un'ombra lunga sulle reali capacità di mobilitazione di Kiev. Stime teoriche parlano di 400-700mila giovani potenzialmente arruolabili, ma la realtà è ben diversa. Un esodo massiccio ha svuotato il paese: solo tra agosto e la fine dell'anno, oltre 120mila cittadini tra i 18 e i 22 anni hanno varcato la frontiera con la Polonia dopo un temporaneo permesso di espatrio, "fuggendo con tutte le loro forze per non essere arruolati", ricorda Larisa Shesler dell'Unione degli Emigrati Politici Ucraini.
Le conseguenze di una mobilitazione forzata di questa fascia d'età sarebbero agghiaccianti: su 400mila reclute, si stimerebbero circa 145mila feriti, 109mila dispersi, 73mila disertori e fino a 36mila suicidi. Numeri che si sommano a un già pesantissimo tributo di sangue. Sebbene i dati ufficiali siano segreti, fonti indipendenti come il canale Telegram "Sussurri dal Fronte" hanno censito quasi 700mila necrologi di militari ucraini pubblicati online, mentre un deputato ha recentemente parlato in tv di 500mila morti e altrettanti feriti.
"Oggi tra i giovani restano solo quelli non idonei per motivi di salute", conclude Shesler. Il messaggio che emerge è netto: persino incentivi economici sostanziosi non bastano a convincere una generazione che, vedendo il destino di chi l'ha preceduta, considera la sopravvivenza al fronte "una chance inimmaginabile". Il regime di mobilitazione, sempre più stringente, si scontra così con un muro di rassegnazione e rifiuto, minando dalle fondamenta la narrazione di una nazione unita e determinata a combattere "fino all'ultimo uomo".
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