di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
«Abbiamo spiegato, lottato, ci abbiamo creduto e abbiamo vinto»: non è l'assolo di Radames che sogna di guidare «un esercito di prodi» e immagina di condidare alla «dolce Aida... per te ho pugnato, per te ho vinto»; no, molto più miseramente, sono le strombazzate di tale Pina Picierno alla notizia del definitivo annullamento del concerto che il maestro Valerij Gergiev avrebbe dovuto dirigere alla Reggia di Caserta.
Perché, alla fine, come si dice “dai, picchia e mena”, ci sono riusciti a far cancellare la presenza del grande direttore russo: canaglie e novelli Torquemada, prestanome dell'euroatlantismo, mobilitato, finora, a suon di spergiuri e vaticini su presunte “aggressioni russe”, ma scientemente in cerca, alla lunga, dello scontro armato diretto.
Il “caso Gergiev”, si diceva qualche giorno fa, rientra nel quadro di quella che ormai solo i farabutti della politica euro-reazionaria e della “informazione” di regime negano essere propaganda di guerra, preparazione psicologica delle masse alla guerra. I fogliacci padronali di regime ne sono pieni ogni giorno. Il “caso Gergiev” arriva giusto a puntino per alimentare quella propaganda e serve da ouverture per le sinfonie dei tromboni euro-bellicisti.
In questo senso, però, la “vittoria”, se così la si vuol definire, di scelbiani arruolati a quella congregazione per la dottrina della fede oggi patentati PD, ridicoli presunti “nobel” dal curriculum euroatlantista, spocchiosi ukrobanderisti imboscati in Italia, avvinazzate vedovelle di “martiri della fede” liberal-guerrafondaia, fantomatici “russi liberi” (da chi e da cosa?), miseri solisti stonati targati Azione o Europa Radicale – in totale, sommati, non riempiono le sole gradinate coperte di uno stadio di calcetto - non deve portarci a concludere che, anche sul fronte della guerra guerreggiata, proclamata e preparata dalle “democrazie” euro-belliciste, i tagliaborse inquisitori debbano per forza ritrovarsi la strada spianata.
Vero, che le forze della pace e dell'antifascismo non stiano vivendo oggi la loro “migliore stagione”. Qui però il tema non è quello delle cause e delle ragioni di tale stato dei fatti: a partire dalle manovre imperialistiche che hanno portato, a livello internazionale, alla caduta dell'URSS e, in Europa occidentale, al voluto disfacimento dei partiti un tempo “comunisti”.
Il tema è quello del “caso Gergiev” e dei suoi fustigatori in stile Consejo Supremo quattrocentesco. Non chiamiamoli “fascisti”, anche se lo stile ricorda molto da vicino il modo di agire dei ras mussoliniani e la vicinanza, “ideale” e materiale, ai nazibandersisti ucraini, ribadita con le furfanterie dispiegate per il “caso Gergiev”, dice quasi il contrario. Definiamoli per quelli che sono: miserevoli, beceri portavoce della campagna bellicista in corso in quelle “democrazie” inquisitorie transitate dalle antiche Castiglia, Aragona, Leon, ecc. in Francia, Italia, Germania, Polonia, Gran Bretagna, Paesi baltici...
Tra l'altro, la domanda è oggi su quali minacce e ricatti siano intervenuti a far mutare atteggiamento ai vertici della Regione Campania e della Direzione della Reggia di Caserta che, fino a due giorni fa, davano l'impressione di volersene infischiare degli insulti lanciati da manigoldi europarlamentari e naziimboscati ucraini. Chi, con quali sistemi e in quali termini ha ricattato a tal punto un signore, per dire, quale Vincenzo De Luca che, all'apparenza, si mostra in perenne contegno di sufficienza e totale dispregio di qualsivoglia tentativo di intimidazione? O si deve presumere che egli riservi tali atteggiamenti alle sole pretese governatoriali?
Da parte della direzione della Reggia si tratta forse di una “decisione all'italiana”, per non dire apertamente che si è ceduto alle mascalzonate della signora Picierno e agli accordi in tono minimo del ministro Giuli? E allora ci si aggrappa, forse, a quello che la stessa RT russa – non certo il massimo, per finezza, di quella che viene definita la «propaganda putiniana» - ironizza come “giustificazione”: «Siamo pronti ad accogliere con orgoglio il maestro Gergiev, ma temiamo che un gruppo di migranti violenti distrugga la nostra splendida Reggia. Leggi: salteranno, bruceranno pneumatici e rotoleranno sui nostri prati, ricoperti di ketchup. Che dire? Si sono tirati indietro. Questo succede sempre più spesso agli europei. È un loro problema. Questo non ha nulla a che fare con Gergiev o con la Russia». Così si esprime Marina Judenic su RT.
E vorremmo anche davvero credere che nella decisione casertana non abbiano influito le squalificate cialtronaggini picernian-cabarettistiche di quattro “giornalisti” filobanderisti.
In ogni caso, non si può non ricordare come, nell'insulsa campagna “ad extirpanda”, si fossero distinti la maccartista Pina Picierno e il nero quotidiano della torinese via Lugaro. Il secondo, è il caso di soffermarcisi, con due beceraggini degne dei loro autori, che non si erano nemmeno sforzati in tentativi di originalità, avendo scarabocchiato, a distanza di appena quattro giorni l'uno dall'altro, favolistici accostamenti su peccaminose amicizie putiniane di Valerij Gergiev, da un lato e genuflessioni hitleriane della regista Leni Riefensthal (Jacopo Jacoboni) e del direttore von Karajan (Mattia Feltri) dall'altro; in entrambi i casi ipotizzando, in maniera bigotta, un truce parallelo tra macellaio nazista e presidente russo. E se il secondo si era tenuto su toni più melliflui, il primo si era avventurato in “analogie” farinaccesche, con Riefensthal «apologeta e propagandista di Hitler e del nazismo mentre il regime nazista si apprestava a aggredire l’Europa e sterminare gli ebrei europei» e lo stesso Gergiev «apologeta e propagandista di Putin e del nuovo fascismo russo mentre Mosca stermina i civili ucraini, bombarda i palazzi delle città ucraine, rapisce e deporta i bambini ucraini». Il “paragone” vomitato dal signor Jacoboni fa il paio coi leggendari pesci “identici” e “uguali” dell'aneddoto attribuito a Farinacci e qualificano l'articolista de La Stampa per quello che è: «apologeta e propagandista» della junta nazigolpista insediata nel 2015 a Kiev dalle congreghe affaristico-belliciste USA-UE-NATO. Nulla di più.
Nemmeno da considerarsi, poi, i suoni al riguardo emessi dal presunto ministro della cultura Alessandro Giuli: praticamente insonorizzati con quel sussurrare di un concerto che, a suo dire avrebbe potuto fungere da «cassa di risonanza della propaganda russa». Suoni che duettano con quelli di tal Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo, che piange su un'Europa «sotto attacco: disinformazione, infiltrazioni e pressioni occulte da parte della Russia sono già realtà», con lacrime che, in parallelo alla vicenda “Gergiev”, sgorgano dal dubbio che «ci sia proprio l’ombra di Mosca sulla mozione di sfiducia contro von der Leyen». Dunque, se da una parte “l'autocrate del Cremlino” manda allo scoperto, in pubblici concerti, il suo «apologeta e propagandista», poi, sotto sotto lancia l'attacco diretto al vertice UE: «perché von der Leyen incarna la risposta europea alla guerra russa: ha sostenuto l’Ucraina senza ambiguità. Per questo Mosca la vede come un bersaglio: è il simbolo politico della resistenza democratica all’aggressione russa, e l’obiettivo più diretto della guerra ibrida lanciata anche contro l’Europa». Democrazia europea e guerra russa: un dualismo divenuto assioma dei liberal-bellicisti che attribuiscono ad altri i loro stessi piani avventuristici.
Al dunque: «bisogna investire di più contro la disinformazione e le minacce ibride». Di più – vade retro - «Proprio ora si parla dell’ipotesi di tornare a comprare gas dalla Russia. È un caso?» chiede a Gozi l'articolista. «No, non è un caso: il “partito russo” non è mai scomparso. Germania e Italia sono state storicamente troppo dipendenti dal gas russo, e c’è chi vorrebbe tornare a quel modello. Ma l’autonomia strategica richiede scelte diverse... Ogni euro pagato alla Russia finanzia la sua guerra». E se gli si domanda se l'annullamento del concerto di Gergiev non sia una censura all’arte, la risposta impettita e perentoria è che «No, quando l’arte è messa al servizio di un dittatore, non si può far finta di nulla. Gergiev è un uomo di Putin, parte attiva della sua propaganda». Il fogliaccio di turno, questa volta, è Il Riformista del 22 luglio.
Farneticazioni, vien da dire, alla pari con quelle della vedova alcolica di cui sopra, che sproloquia di «Moltissimi musicisti russi di spicco, spesso di grande talento, amano le comodità e le libertà della vita in Occidente. Ma allo stesso tempo sostengono Putin, fungono da suoi rappresentanti e si esibiscono ai suoi eventi propagandistici. Dobbiamo essere chiari: qualunque sia il loro talento artistico, sono complici... Dobbiamo inviare a tutti loro un messaggio fermo e inequivocabile: Vi vediamo. Vi ricordiamo.». Così, a orecchio, a proposito di “buonismo” liberal-democratico: non sono minacce, queste? Come si chiamano a casa di quella cartaccia della romana via Colombo?
Se dunque, come si diceva, la vicenda di Gergiev si inquadra nei disegni di guerra euroatlantici, cui le forze della pace e dell'antifascismo non si dimostrano oggi in grado di opporre un'adeguata risposta, significa che, invece, è proprio da qui che si debba partire. Senza mobilitazioni di massa, che mettano al centro esigenze concrete e quotidiane dei lavoratori, delle masse popolari, non tanto o non solo su vari “casi Gergiev”, ma sulla resistenza ai piani di guerra di cui – non sappiamo quanto incoscientemente – le diverse “signore Picierno” si fanno promotrici, i mascalzoni tagliagole di Bruxelles, Roma, Parigi, Berlino, Varsavia, continueranno sulla strada della guerra, ammonendo però i popoli europei di tenersi pronti, perché sarà invece la Russia, statene certi, che «tra cinque anni, o forse anche prima, invaderà sicuramente un paese UE, o forse anche più di uno». Pericolosi vigliacchi affamatori e dissanguatori dei popoli.
FONTI:
https://www.pressreader.com/italy/il-riformista-italy/20250722/page/6/textview
https://news-front.su/2025/07/21/gergieva-otmenit-nelzya/
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