Rilanciare l'Ecuador: il programma strategico della Rivoluzione Cittadina. Intervista esclusiva con l'analista politica Irene León

08 Febbraio 2025 14:50 Geraldina Colotti

Sedici candidati, due donne e quattordici uomini, si candidano alle elezioni presidenziali in Ecuador di domenica 9 febbraio. Il 7 si è chiusa una campagna elettorale segnata, oltre che dagli altissimi livelli di violenza, dai piani di Trump per l'America Latina. L'attuale presidente, l'imprenditore neoliberista ultra-securitario, Daniel Noboa, scalpita per mettersi nell'orbita di Trump. Ha accolto con entusiasmo la proposta di deportare i suoi connazionali migranti, e si è addirittura offerto per ospitare nelle carceri ecuadoriane i “delinquenti” statunitensi. Se venisse rieletto, stenderebbe il tappeto rosso ai piedi del suo idolo nordamericano.

Non a caso, ha ritenuto “storico” l’invito a presenziare all’insediamento del magnate per il suo secondo mandato, insieme a personalità dell’estrema destra latinoamericana, come l’argentino Javier Milei, il salvadoregno Najib Bukele e, seppur dietro le quinte, Edmundo González Urrutia, che aspira a essere il nuovo presidente “autoproclamato” del Venezuela, nonostante le elezioni siano state vinte da Nicolás Maduro.

Noboa ha accolto a braccia aperte il nuovo Segretario di Stato americano, Marco Rubio, portavoce dei settori più reazionari di Miami, nel primo viaggio in quello che Trump vorrebbe tornasse a essere il suo “cortile di casa”. Non per niente, uno dei primi decreti da lui emanati è stato quello di reinserire Cuba nella lista dei Paesi che “sponsorizzano il terrorismo”, chiudendo il breve periodo in cui l’amministrazione uscente Biden l’aveva rimossa dall’assurda lista.

Tra i paesi visitati da Rubio c'era Panama, che Trump ha minacciato di invadere per prendere il controllo del canale, un importante snodo commerciale in cui la Cina ha rafforzato la sua presenza. Il governo panamense, non proprio un campione di indipendenza e sovranità, ha accettato di raggiungere un accordo con Trump sulla questione delle migrazioni, vera e propria ossessione del magnate insieme ai dazi doganali.

E qui Noboa ha seguito rapidamente l'esempio di Trump, imponendo dazi ai prodotti messicani e aggravando una crisi bilaterale scoppiata quando ordinò l'irruzione nell'ambasciata messicana a Quito e sequestrò con violenza l'ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glass, a cui era stato concesso asilo politico dal Messico. In una difesa frontale degli interessi statunitensi, il 14 dicembre 2024, Noboa ha autorizzato il governo degli Stati Uniti a installare una base militare nelle Isole Galapagos, in conformità con i trattati di cooperazione firmati nell'ottobre 2023 tra i due Paesi.

Ciò consente agli Usa l’immunità diplomatica in caso di sbarco di truppe, e la presenza di navi, sottomarini e personale militare statunitense per “combattere l’insicurezza” in Ecuador: e, di fatto, la perdita di sovranità sulle isole. Il governo di Rafael Correa aveva deciso di non rinnovare le concessioni per le basi militari statunitensi, mentre ora la decisione di Noboa di consentire una maggiore presenza statunitense nell'Oceano Pacifico di fronte alla Cina viola la Costituzione ecuadoriana.

In questo scenario, le elezioni ecuadoriane mostrano un alto livello di frammentazione politica, ma in cui, stando alle inchieste, ci sarà una corsa serrata tra la candidata della Rivoluzione Cittadina, Luisa González, e l'attuale presidente, Daniel Noboa.

Se nessun candidato riceve il 50% dei voti o almeno il 40% con un margine di 10 punti sul secondo classificato, il 13 aprile si terrà un ballottaggio, a cui parteciperanno i due aspiranti che avranno ottenuto il maggior numero di voti. Oltre al candidato presidenziale per il periodo 2025-2029, gli elettori eleggeranno anche i 151 rappresentanti del Parlamento e i cinque rappresentanti del Parlamento andino.

Nel frattempo, il 6, è iniziato il voto “anticipato”. I primi a votare sono stati i detenuti in attesa di giudizio: circa 527 donne e 5.691 uomini, che si sono recati nei 62 seggi elettorali allestiti in 42 istituti penitenziari, sotto il controllo dell'esercito e della polizia. Ha fatto seguito il voto a domicilio, richiesto in precedenza da 662 anziani e persone con una disabilità superiore al 75%.

Riuscirà il popolo ecuadoriano a voltare pagina o continuerà a precipitare nella spirale del neoliberismo e della società securitaria? Ne abbiamo parlato con Irene León, sociologa e analista politica ecuadoriana, specializzata in alternative alla globalizzazione e diritto alla comunicazione.

Qual è la situazione in Ecuador, com'è il clima alla vigilia delle elezioni?

Le elezioni sono viste come un evento decisivo in un contesto in cui è latente una disputa sul modello di società. C'è un attacco molto potente al diritto di riprendere il controllo dello Stato, che la destra considera un canale per completare la privatizzazione totale dei territori e delle risorse.

Questa virulenza della destra ha a che vedere con la sua necessità di consolidare il modello capitalista, di fronte al persistere del progetto di Rivoluzione Cittadina. Una proposta di cambiamento strutturale e di bene comune, rappresentata da Rafael Correa, che ha governato dal 2007 al 2017, dimostrando la sua superiorità storica. Dal 2017, però, dopo una sorta di colpo di stato soft per sradicare questa proposta alternativa, si è instaurato un ferreo controllo delle forze del capitalismo che oggi lottano per restare al potere.

Per ottenere lo smantellamento del progetto alternativo, tra l'altro, è stata imposta un'intensa attività di lawfare, con alti livelli di persecuzione politica e mediatica, rivolti principalmente contro il Movimento di Rivoluzione Cittadina e la sua proposta di cambiamento strutturale. Nulla di ciò che accade nella politica ecuadoriana può essere letto senza considerare il peso del lawfare, l'uso della magistratura per fini politici. Inoltre, si assiste a un'escalation dell'autoritarismo, che è un ingrediente centrale nel raggiungimento della de- istituzionalizzazione e dell'estorsione di beni e risorse pubbliche. Tanto che, da quando il governo di Daniel Noboa ha dichiarato il Paese in “conflitto armato interno”, con la scusa di affrontare il commercio illecito e il “terrorismo”, è comune considerare che il Paese sia già in dittatura.

Tuttavia, come dimostra l'attuale contesa elettorale, in Ecuador continua a sussistere una disputa sui significati e sui progetti. Altrimenti, non sarebbe possibile spiegare perché il movimento politico più perseguitato, Rivoluzione Cittadina, sia la principale forza politica del Paese, o perché il suo fondatore, Rafael Correa, in esilio a causa di questa persecuzione, continui a essere la figura politica più riconosciuta. E non sarebbe possibile capire perché Luisa González, la candidata di questo movimento, sia quella che compete per il primo posto in uno scenario di lotta per il potere.

La natura della contesa elettorale ha quindi a che vedere con un drastico quesito: o una dittatura del capitale o la ricostruzione della patria, per rilanciare ancora una volta un progetto di sovranità.

Ci sono 16 candidati alla presidenza. Quali interessi rappresentano?

La maggioranza dei candidati è allineata al neoliberismo più rigoroso ed esprime obbedienza al progetto geopolitico statunitense. Per di più, tutti condividono una prospettiva securitaria, di estrema destra e persino neofascista e propongono la mano pesante come ricetta per risolvere le molteplici crisi che affliggono il Paese. Quasi tutti demonizzano il bene comune e aspirano alla privatizzazione totale. La maggior parte dei candidati rappresenta solo i propri interessi o quelli di gruppi di potere che hanno soppiantato i partiti politici e cercano di impossessarsi dello Stato per fare affari. Lo abbiamo già visto con le privatizzazioni neoliberiste, che hanno ceduto beni pubblici ad attori privati, i quali non hanno alcun piano di redistribuzione e hanno solo accentuato le disuguaglianze.

Cinque di questi candidati alludono o si identificano con il progressismo o la sinistra, ma sono espressioni politiche con scarso sostegno popolare. Solo Luisa González, rappresentante della Rivoluzione Cittadina, è prima o seconda nei sondaggi e ha il potenziale per arrivare al potere. Il contendente è Daniel Noboa, l'attuale presidente, che proviene da un potente gruppo di interesse, è l'erede della più grande holding aziendale del Paese. Le sue azioni e le sue proposte rispondono a quegli interessi e, come si può vedere dai fatti verificatasi durante il periodo in cui ha governato, il fulcro della sua prospettiva libertariana è quello di mettere tutte le risorse del Paese a disposizione del mercato, in modo che il capitale internazionale possa fare affari a suo piacimento.

Cosa resta della Rivoluzione Cittadina?

La Rivoluzione Cittadina (2007-2017) è stata una sintesi di molteplici fattori, tra cui la resistenza al libero scambio, il neoliberismo e la globalizzazione di inizio secolo, ma è stata anche un punto di partenza per definire l'orizzonte del nostro progetto. Un progetto di sovranità, con una visione di economia endogena nazionale e regionale, con una prospettiva geopolitica che ha il suo epicentro nel Sud. Parte della sua eredità è una proposta per il futuro: il Buen Vivir, sancito dalla Costituzione ancora vigente. Sono stati dieci anni di cambiamenti molto significativi, con un orizzonte diverso dal piano emisferico che gli Stati Uniti avevano e hanno per l'Ecuador e per la regione latinoamericana e caraibica.

Nel 2017, questo processo di cambiamento è stato invertito da una sorta di colpo di stato soft. Il Paese non solo è tornato al neoliberismo, ma è diventato un laboratorio per l'attuazione di un modello economico libertariano, con la corrispondente distruzione dello Stato e la promozione di progetti aziendali transnazionali.

Oggi, Luisa González guida il movimento della Rivoluzione Cittadina, che si basa sull'eredità di un processo di costruzione del cambiamento. È una forza reale, un movimento esistente che nasce da quell'esperienza e che ha la volontà di riprendere un percorso di ricostruzione dello Stato per il bene comune. Nonostante la persecuzione politica che colpisce il movimento, la candidatura di Luisa González è l'unica che gode di un autentico riconoscimento popolare, l'unica che nasce da una proposta politica organica che conta sul sostegno iniziale del 30% dell'elettorato, noto alla gente come "il voto duro di Correa", in riferimento all'ex presidente, Rafael Correa.

Qual è il programma di Luisa González?

Luisa González propone un piano strategico per rimettere in piedi il Paese. “Rilanciare l’Ecuador” è lo slogan della sua campagna. E, in questo caso, è un passaggio necessario, sia per l’urgenza di rigenerare uno spazio democratico, sia per la necessità di superare una crisi multipla di alta intensità. In questa linea, partendo da un movimento politico che propone cambiamenti strutturali, l'agenda di González si concentra sul ruolo nodale dello Stato nella gestione degli affari pubblici, basato sul bene comune, con politiche redistributive e diritti per tutti.

Per lasciarsi alle spalle il caos neoliberista, la sua proposta dà priorità alla sicurezza dei cittadini, vista da una prospettiva globale e strategica, che include sia la re-istituzionalizzazione delle agenzie di sicurezza e giustizia, sia un patto etico e il ripristino dei valori di solidarietà e cura, come aspetti fondamentali per la ricostruzione del tessuto sociale. Questo approccio ha funzionato durante la Rivoluzione Cittadina, quando l'Ecuador era il secondo paese più sicuro dell'America Latina.

Il secondo aspetto è la rivitalizzazione dell'economia, un'economia post-petrolifera, con diversità economica e produttiva, come afferma la Costituzione; ma anche con misure correttive urgenti, ad esempio in relazione al debito estero, per il quale si propone una revisione.

Il terzo aspetto riguarda una politica energetica globale e sovrana. L'Ecuador era tra i primi dieci paesi al mondo in termini di solvibilità energetica, mentre oggi, a causa della negligenza della gestione statale, sta accadendo il contrario. L'anno scorso ci sono state interruzioni di corrente fino a 14 ore e il paese è tornato a importare energia.

Il quarto punto riguarda i servizi pubblici statali, in particolare il ripristino del sistema sanitario e dell'istruzione pubblica gratuiti. E il quinto punto si riferisce all'inclusione e ai diritti, per realizzare l'uguaglianza, in particolare all'uguaglianza di genere, e sviluppare una società inclusiva e diversificata.

I diritti sono ormai violati in tutti i campi, dalle misure neoliberiste di ridimensionamento e abbandono dello Stato, alla "guerra interna" che non perseguita gli attori delle attività illecite ma le persone impoverite, i discendenti degli africani, i giovani delle periferie urbane. Sotto il regime di Noboa si sono moltiplicate le violazioni dei diritti umani e perfino le esecuzioni extragiudiziali.

Secondo i sondaggi, ci sarà una sfida serrata tra Daniel Noboa e Luisa González e in molti denunciano possibili brogli da parte dell'attuale presidente. Cosa aspettarsi?

Una delle sfide più importanti è garantire che le elezioni si svolgano in modo regolare. Fino a questo momento, come conseguenza della deistituzionalizzazione del Paese, è in atto una sorta di dittatura in cui Daniel Noboa controlla le istituzioni, al punto che persino il Consiglio Elettorale Nazionale ha giustificato diverse violazioni del Codice della Democrazia e persino della Costituzione. Tra i tanti casi, cito l'esempio del mancato rispetto della legge elettorale e della mancata richiesta di autorizzazione all'Assemblea nazionale per assentarsi dalla campagna elettorale e farsi sostituire dalla vicepresidenta, una figura che in Ecuador è eletta. Ricordo anche che Noboa ha compiuto atti di proselitismo pubblico utilizzando spazi e beni dello Stato, come è successo qualche giorno fa, quando ha organizzato un incontro con un certo signor Edmundo González, di origine venezuelana, candidato alla presidenza in quel Paese l'anno scorso, giunto secondo ma ricevuto da Noboa come leader. Noboa è arrivato addirittura a stipulare accordi bilaterali con un uomo che non ricopre alcun incarico pubblico nel suo Paese, tantomeno quello di presidente. Ma il CNE non ha registrato irregolarità e ha ingannato il Paese.

Negli ultimi giorni, la campagna sporca si è intensificata, e le minacce contro Luisa González sono diventate evidenti, ma non per il CNE, che le ha ignorate. Inoltre, si parla dell'esistenza di un piano per frodare gli elettori. I militari starebbero creando un centro di calcolo parallelo a quello del CNE; tanto che la propaganda elettorale del presidente in carica sta già veicolando attraverso i media una sua presunta vittoria al primo turno, da rendere irreversibile il giorno delle elezioni.

D'altra parte, in queste elezioni gli ecuadoriani non sono soli, gli Stati Uniti sono presenti in tutti gli scenari: il loro candidato è Noboa. E sarà un fedele sostenitore dei numerosi accordi firmati con quel Paese, tra cui la cooperazione militare relativa al piano geostrategico per il controllo statunitense della regione e del Pacifico.

Sono quindi in discussione due proposte politiche diametralmente opposte, ma che potrebbero essere risolte tramite voto popolare, se solo la destra e il suo padrino del Nord abbandonassero la dottrina della polarizzazione, lasciassero da parte la persecuzione politica e giudiziaria e consentissero al Paese di recuperare la gestione democratica del suo destino.

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