Si è aperto a Roma il vertice dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), nel pieno del conflitto che si sta allargando al Medioriente, e che obbliga a guardare in faccia la relazione tra sfruttamento capitalistico, guerre imperialiste e sicurezza alimentare. A un anno dal genocidio perpetrato dal regime sionista, e che non accenna a placarsi, le cifre provenienti dalla Palestina e diffuse dalla FAO indicano l’inconsistenza dell’intervento “umanitario” in assenza di un’azione politica contro l’oppressione coloniale.
Nella Striscia di Gaza, dove gli aiuti non possono praticamente più passare, incombe la carestia. Tutto è stato distrutto. Le immagini satellitari indicano che i cingoli dei veicoli pesanti, le demolizioni, i bombardamenti e altre devastazioni hanno colpito pesantemente anche le infrastrutture agricole di Gaza. Basta scorrere solo alcuni dei dati prodotti dalla FAO per quantificare, e solo parzialmente, l’entità della tragedia in corso.
Sono stati gravemente danneggiati 1.188 pozzi agricoli (il 52,5% del totale), e 577,9 ettari di serre (il 44,3%). Al 1° settembre 2024 – dice la FAO -, il 67,6% dei terreni coltivabili di Gaza, ovvero 10.183 ettari, è stato danneggiato. Si tratta di un aumento rispetto al 57,3% (8.660 ettari) di maggio e al 42,6% (6.694 ettari) di febbraio 2024. Più in dettaglio, il 71,2% dei frutteti e di altri alberi, il 67,1% delle colture da campo e il 58,5% delle verdure sono stati danneggiati. Quasi il 95% (circa 15.000) dei bovini è morto e quasi tutti i vitelli sono stati macellati. Circa il 43% delle pecore (meno di 25.000 capi) e il 37% delle capre (circa 3.000 capi) rimane in vita. Si segnalano perdite drammatiche nel settore avicolo, con solo l'1% (circa 34.000) di capi vivi. La produzione commerciale di pollame è in gran parte cessata, la maggior parte delle operazioni ora è limitata alla produzione a livello domestico per l'autoconsumo.
Gli agricoltori, i pescatori e i pastori di Gaza stanno rischiando la vita per continuare la produzione alimentare – dice la FAO -, e lancia un drammatico appello: “Sono urgentemente necessari aiuti agricoli per ripristinare la disponibilità di cibo altamente nutriente, prevenire il collasso totale del settore agricolo, preservare i restanti mezzi di sostentamento agricoli e frenare la fame acuta e la malnutrizione, soprattutto tra i bambini”.
Un quadro in cui, per poter essere efficace, anche la proposta di un’alleanza globale per combattere povertà e fame nel mondo, lanciata al G20 dal presidente brasiliano Lula da Silva (il Brasile detiene la presidenza di turno dell’organismo), richiederebbe un intervento strutturale per rimuovere le cause che portano una persona su 11 a patire la fame, secondo la FAO.
A sei anni dal 2030, termine fissato dalla FAO per la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2 (Ods2), la prospettiva di sradicare la fame e la malnutrizione a livello globale è lontana. Per quel che riguarda l’America latina e i Caraibi, il rapporto Sofi 2024 mostra che, dal 2021, entrambi gli indicatori sono positivi. Il livello della fame è diminuito dal 6,9% del 2021 al 6,2% del 2023, il che significa che 4,3 milioni di persone non ne soffrono più. Tuttavia, dice la FAO, “persistono disuguaglianze significative a livello sub-regionale: in Sudamerica, a mancare di cibo è il 5,2% della popolazione, in Mesoamérica è il 5,8%, e nei Caraibi soffre la fame il 17,2%, per un totale di 41 milioni di affamati nella regione”.
Secondo il rapporto, la ripresa economica post-Covid-19, insieme al commercio e ai sistemi di protezione sociale, è stata fondamentale nella lotta contro la fame e la malnutrizione. Tuttavia, questi progressi non sono stati sufficienti; il livello della fame rimane più alto rispetto a quello registrato prima della pandemia.
In questo senso emerge la distanza trai paesi che hanno calato la “motosega” sui diritti fondamentali, applicando i piani di aggiustamento strutturale imposti dalle grandi istituzioni internazionali, e i paesi socialisti che, come Cuba, Nicaragua e Venezuela, nonostante decenni di attacchi e bloqueo contro i bisogni primari delle classi popolari, hanno continuato a mettere al centro la costruzione di una società di pace con giustizia sociale.
In Nicaragua, l'agricoltura familiare rappresenta un settore molto importante che sostiene l'economia del paese e genera un impatto diretto sulla sua sicurezza alimentare. Con il governo sandinista, il Nicaragua è oggi un esempio di sicurezza alimentare per la regione grazie alle buone pratiche di gestione delle sementi e agli input biologici promossi anche nell’ambito del programma Fao “Mesoamerica senza Fame”.
Il Nicaragua, come Cuba, partecipa al programma FAO Mano nella Mano, presente in 15 paesi della regione e in via di espansione, con lo scopo di promuovere l’attività rurale, “mettendo l’accento sugli investimenti più efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili”.
La delegazione venezuelana, coordinata dall’ambasciatrice presso la FAO, Marilyn De Luca, mostrerà i passi di una rinascita economica - la più alta della regione - che ha del miracoloso, considerando quanto hanno pesato le misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati uniti a partire dal 2014, che hanno fatto cadere ai minimi storici le entrate petrolifere del paese (il Venezuela possiede le prime riserve al mondo di petrolio).
Con Chávez in vita, il Venezuela aveva raggiunto nella metà del tempo gli obiettivi del millennio, e per questo la FAO intestò a Hugo Chávez il premio Alimentazione. Ma questo, per l'imperialismo, era evidentemente uno schiaffo insopportabile da parte della rivoluzione bolivariana, che ha deciso di destinare gran parte degli introiti ai piani sociali. Nonostante questo, il Venezuela, dipendente dalle importazioni per l'80-85% del suo fabbisogno alimentare, oggi riesce a produrre il 94% di quel che consuma. Questo grazie al fatto che centinaia di piccoli produttori e di agricoltori si sono dedicati a produrre per il consumo interno del paese.
E, come ha detto il presidente Maduro, per la prima volta da 100 anni la straordinaria crescita industriale e produttiva, testimoniata dalla Cepal, proviene dall'economia reale non petrolifera, "è una crescita dell'economia che produce alimenti, beni, servizi, ricchezza. E che paga le tasse".
Un successo che, a differenza di quanto accade nei paesi capitalistici d'Europa, dove le classi popolari non hanno vero potere decisionale, si deve alla democrazia partecipata e protagonista, che si esprime in forma assembleare e che invita alla mobilitazione e all'assunzione di responsabilità in vari spazi e forme d'incontro: come quella dei vari congressi, nazionali e internazionali, che si sono realizzati e che si realizzeranno a breve intorno alla proposta di una nuova Internazionale Antifascista.
Una proposta che, come ben chiarisce la dichiarazione approvata e com’è nello spirito della rivoluzione bolivariana, non erige steccati o “primogeniture”. Si propone di unire, moltiplicare e diffondere i contenuti delle lotte territoriali e quelli della necessaria battaglia delle idee, articolandoli in una prospettiva comune.
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